In un angolo sperduto di questo mondo che si chiama esattamente come il paese in cui vivete, una giovane creatura di nome Caterina sta lentamente aprendo gli occhi dopo una notte di sogni.

La conosciamo proprio in quel momento in cui la realtà e la fantasia senza regola dell'inconscio si confondono.

Caterina non riesce a muoversi. Un rumore fastidioso e ripetitivo le ricorda che bisogna prepararsi al nuovo giorno. L'ultimo sogno, purtroppo è il più bello. Pervaso di sensazioni paradisiache e di presenze emozionanti che la attraggono irresistibilmente, senz'altro più di quanto non la attraggano le azioni automatiche delle sue giornate colorate di noia.

La nostra giovane amica però non la pensa così come noi ne ricaviamo l'impressione. Caterina pensa che la realtà sia bella, molto più bella dei sogni, anche se ammette da parte sua una certa difficoltà nell'abbandonare il profumo del suo cuscino.

La sua colazione preferita la sta aspettando comodamente appoggiata sul tavolo, in cucina, preparata da un personaggio che non conosciamo ancora, che potrebbe chiamarsi sia Luigi sia Mattia, senza che la nostra storia possa cambiare il suo corso.

Questo perchè la storia della vita quotidiana è sempre la stessa storia: non saremo noi a cambiarla semplicemente raccontandola.

Finalmente Caterina riesce ad abbandonare il suo comodo letto e stropicciandosi gli occhi si reca in bagno, dove la aspetta una calda ripulita del suo giovane corpo. E' una bella giornata. Il sole rischiara allegramente il piccolo bagno. Caterina si immerge nel suo bagno schiuma preferito.

Il suo pensiero indugia in immagini vaghe: ancora non sa che cosa le offrirà il nuovo giorno. Spera di ricevere una telefonata amica, di ascoltare la voce che più preferisce, di abbandonarsi alla vita in un bosco di betulle, di incontrare il suo primo amore... ma il primo amore sembra non arrivare mai..

I suoi pensieri non erano ben definiti. Era come se centinaia di informazioni raggiungendo il suo cervello non facessero altro che aumentare il suo stato confusionale. Eppure c'era stato un giorno in cui le cose sembravano avere un loro significato, un motivo per esistere. Ogni immagine evocava illusioni e realtà contradditorie.

Come conciliare ogni cosa con il suo opposto?

Fissava il soffitto della sua stanza. Nella luce fioca che penetrava dalle persiane socchiuse si agitavano i personaggi dei suoi sogni. Un volto amico gli sorrideva; chi era? Sarebbe stato bello incontrarlo nella realtà.

Un'altra illusione. Quante volte si era ritrovato davanti a se stesso senza avere concluso niente che possedesse un significato autentico, libero da quei condizionamenti che ci si ritrova addosso ad ogni passo della propria vita. Era solo rettorica, una lamentela cronica ripetuta all'inverosimile, o il segnale di una presa di coscienza?

Coscienza di che cosa? Sempre e soltanto dubbi, scetticismo, impossibilità di credere in qualcosa di concreto.

Valeva ancora la pena di reagire, di cercare un'alternativa alla normalità, al circolo vizioso, alla solitudine in mezzo alla folla? Il mondo non era altro che il più grande formicaio immaginabile, nel quale la discutibile intelligenza della specie umana non serviva che a produrre di più, a sfruttare meglio...

Intanto le stelle continuavano il loro cammino, custodi del segreto della loro e della nostra storia.

Il problema era il significato delle cose. Il dramma della sua vita era la dannazione di doversi identificare in oggetti incomprensibili, in azioni immotivate.

Ormai era giunta l'ora di agire, di abbandonare i sogni, di buttarsi a capofitto nella realtà. Una ricerca più materiale della ricerca della verità lo stava aspettando nelle strade, nelle fabbriche, negli uffici...

Bisognava indossare l'abito migliore, un sorriso imperturbabile e un modo di fare gentile ed educato.

Come raccogliere altrimenti il materiale necessario per gli incubi della notte seguente?

Le strade brulicavano di gente più o meno indaffarata, più o meno allegra. Ad ogni viso corrispondeva tutta una serie di pensieri, di sensazioni, di emozioni. Ogni persona che incontrava aveva una meta da raggiungere, un compito da svolgere. Lui no.

A volte pensava che il suo essere disoccupato fosse uno speciale privilegio di cui soltanto un'esigua minoranza poteva disporre, ma molto più sovente era costretto a considerarsi come indesiderato o respinto per motivi incomprensibili. Le cose gli sarebbero andate meglio se la sua persona fosse stata dotata di qualcuna di quelle caratteristiche che in quel momento il mercato considerava interessanti.

Di interessante in lui, purtroppo, non c'era molto, dal punto di vista del mercato.

Poteva vantare soltanto il suo interesse per la lettura, per le gite in montagna, per la musica. Troppo poco.

Sarebbe stato meglio disporre di qualcosa di più concreto da offrire al pubblico dei datori di lavoro.

Era così scarsamente dotato di attitudini particolari che non era nemmeno in grado di effettuare una scelta fra i diversi tipi di lavoro che avrebbe potuto svolgere. Il suo lavoro di ricerca quindi non aveva limiti. Avrebbe anche accettato di prendersi cura dei figli di qualche donna fortemente coinvolta dal suo lavoro.

Già si immaginava con il biberon in mano e un bambino in braccio che naturalmente non riusciva a fare a meno di piangere e tra un singhiozzo e l'altro invocava la sua mamma. Poi pensava che per quel tipo di lavoro avrebbero senz'altro preferito una ragazzina.

Non sapeva a chi rivolgersi. Nel suo lungo apprendistato alla disoccupazione aveva già tentato di acciuffare un lavoro in molte aziende, delle quali spesso non conosceva niente, ma il semplice fatto che esistessero era un buon motivo per provare. Essendo da parecchio tempo che gironzolava come un vagabondo per le vie della città, aveva preso l'abitudine di classificare la gente che incontrava per la strada secondo un metodo di sua invenzione. In quel momento incontrava un gran numero di commesse che si affannavano per raggiungere i negozi dove lavoravano. L'abbigliamento da commessa di un negozio del centro era facilmente riconoscibile.

Vivendo in una grande città gli accadeva sovente di incontrare dei personaggi inquietanti. Tra questi spesso incontrava un signore di mezza età che camminando si faceva di continuo il segno della croce. Lo aveva soprannominato Gesù.

Gesù si infilava in mezzo alla folla senza guardare in faccia nessuno e nessuno sembrava reagire alla sua presenza.

La vita della città era scandita da un ritmo che non era possibile interrompere. Anche gli sfaccendati, coloro che bighellonavano da un negozio all'altro, sembravano avere una gran fretta: erano terrorizzati dall'idea che qualcuno potesse acquistare prima di loro un determinato oggetto che ancora non possedevano.

Se fossero stati tutti disoccupati avrebbero avuto più tempo per accorgersi di quello che gli stava accadendo intorno.

Il suo cervello associava svogliatamente parole e frasi che raramente avevano un senso compiuto. Spesso si perdeva in immagini astratte e gli sembrava di essere come sospeso in un angolo dell'universo dove il tempo si era fermato, dove tutto accadeva così lentamente da permettergli di soffermarsi sui particolari: ogni gesto era così eloquente da evidenziare un preciso stato d'animo.

Il mormorio dei passanti a volte si concentrava in una frase che gli rimaneva impressa come una fotografia di quel flusso inarrestabile di sensazioni umane. La sua attenzione si soffermava sui discorsi dei suoi vicini di passeggio che nel girovagare senza meta si cimentavano nelle chiacchierate e nei commenti più alla moda.

Non sapeva se amava o se odiava trovarsi confuso in quella folla che giorno dopo giorno ripeteva se stessa nel medesimo rituale; in un rituale del quale nessuno si domandava quali fossero i fondamenti, le motivazioni.

Agli angoli di quel tragitto che si ripeteva senza sosta qualche gruppo di persone si agitava nel tentativo di convincere i passanti ad aderire a una causa, almeno ad una...

Immaginava di domandare a qualche persona di passaggio dove fosse possibile trovare un lavoro...

"Senta, scusi, potrebbe dedicarmi un minuto del suo preziosissimo tempo? Non vendo niente, glielo assicuro!

Avrei soltanto bisogno di un'informazione... Cosa dice? Non ha tempo? Ma si fiuguri... Grazie lo stesso!"

Erano tutti così indaffarati per l'acquisto dei regali natalizi che sembrava di commettere un grave crimine nel rubare pochi minuti ... Eppure anche lui doveva svolgere la sua ricerca di mercato.

Che il Natale fosse vicino lo si intuiva dal modo in cui erano allestite le vetrine. Come dimenticare una festività così largamente ricordata dalla gioia dei negozianti che si estrinsecava in addobbi lussuriosi?

Il misticismo della folla era alle stelle e tutti cominciavano a sentirsi più buoni già due mesi prima del 25 dicembre. In nome del bene altrui non si badava a spese...

Il tempo passava e lui non era ancora riuscito a concludere niente. Tutto accadeva esattamente come nei sogni: non trovava mai una soluzione, rincorreva qualcosa che a sua volta rincorreva qualcos'altro, per cui era difficile raggiungerlo... Prima o poi, anche quel giorno, avrebbe cominciato ad autocommiserarsi.

Caterina canticchia in mezzo alla schiuma. Pensa che la cosa più bella della vita sia un bel bagno caldo.

E' così ottimista che quando fa una cosa pensa sempre che sia la cosa migliore da farsi in quel momento.

Potremmo paragonare la sua mente a una strada sulla quale si trova soltanto lei, senza ostacoli che rallentino la sua corsa spensierata.

Non incontrando ostacoli non le accade mai di ritrovarsi di pessimo umore e riesce a trovare in mezzo a un mondo pieno di cose belle ogni sorta di gioia.

Caterina non è stupida, è come se si rifiutasse di soffrire a causa della stupidità del mondo.

Il suo unico problema è rappresentato dal fatto per cui sentendosi sempre bene nella situazione in cui si trova le manca quello stimolo che la costringerebbe a cercare qualcosa di nuovo.

Finalmente riesce ad abbandonare il bagno pensando che in cucina l'attende una colazione invitante.

In cucina, sul tavolo, si trova una colazione completa, pronta per essere divorata con gioia dalla nostra amica.

Tra pochi minuti di quella colazione non si troveranno che le briciole dei biscotti preferiti da Caterina, che in questo momento li sta divorando senza che il suo appetito sia disturbato da quegli strani problemi legati a qualche dieta misteriosa che turbano le sue amiche sovrappeso e anche quelle che sovrappeso non sono.

Il biscotto per lei è una soddisfazione, proprio come il suo cuscino, il suo bagno caldo e tutte quelle cose che scandiscono il ritmo della vita di tutti i giorni.

Potremmo pensare che Caterina sia tutto sommato una persona scarsamente interessante: questo non è vero.

Quando la conoscerete meglio ve ne innamorerete. Potrebbe essere la vostra compagna ideale.

Il telefono improvvisamente interrompe la sua colazione. E' Marta, la sua migliore amica:

"Ciao! Come stai? E' da un secolo che non ci si vede! Ci vediamo questa sera? Va bene, andiamo a ballare...

Non vedo l'ora!".

La sera era impegnata, non rimaneva che da trovare qualche cosa da fare per il mattino e per il pomeriggio.

Gesù stava passeggiando in mezzo alla folla che naturalmente lo ignorava. Non si chiedeva il motivo per cui tutta quella gente fosse così istericamente attratta dalle vetrine addobbate, si limitava a constatarne la presenza. Quel bagno di folla per lui era salutare. La strada era un luogo di gran lunga migliore degli angusti corridoi della casa di riposo. Aveva sempre lavorato, tutti i giorni della sua vita, con poche e povere evasioni quando la fabbrica chiudeva per ferie.

Qualche volta gli era successo di dover lavorare anche durante le ferie, per raggranellare quei quattro soldi in più che magari avrebbero fatto comodo per comperare i cappotti nuovi ai suoi tre figli. Aveva sempre lavorato, ma non possedeva nulla oltre la sua pensione, che i suoi figli gentilmente integravano contribuendo a pagare le spese della casa di riposo.

Oltre alla pensione l'unica cosa che possedeva era la possibilità di effettuare tutti i giorni alla stessa ora quella passeggiata che per lui rappresentava l'unico contatto con la realtà.

Era stata una vera fortuna che il suo medico gli avesse consigliato di tenersi in esercizio e che fosse riuscito a convincere la direzione della casa di riposo a lasciarlo uscire tutti i giorni alla stessa ora e che i suoi figli non si fossero opposti a quella decisione...

Quella passeggiata gli serviva per non perdere il debole contatto che aveva con la realtà. In quella specie di purgatorio che era la casa di riposo ogni cosa perdeva il suo significato reale e veniva trasformata in un compromesso tra la vita e la morte.

C'era stato un momento in cui aveva desiderato di fuggire da quello strano sistema di libertà vigilata, ma aveva finito con l'accontentarsi di quei quattro passi in città, di quella passeggiata che gli distendeva i nervi e gli permetteva di sentirsi fisicamente stanco quando rientrava.

Il fatto che nella casa di riposo fossero costrette a convivere persone le cui facoltà mentali erano di fatto molto diverse contribuiva a incrementare il suo sospetto che quel luogo non fosse altro che un deposito per carcasse improduttive frutto dello stravolgimento che il benessere sociale aveva prodotto.

Si poteva desiderare qualcosa di più? Nell'arco di una vita le possibilità di scegliere a seconda della circostanza erano così limitate che ognuno rinunciava spontaneamente a realizzare le proprie aspirazioni.

In gioventù c'era stato un momento in cui aveva desiderato diventare musicista, ma le cose non si erano sviluppate in quel senso. Era diventato operaio e la domenica andava allo stadio. Non gli era quasi mai accaduto di sentirsi sicuro del suo posto di lavoro; ad ogni segnale di crisi economica si ritrovava in cassa integrazione.

Che bella cosa la cassa integrazione con tre figli a carico! In quei momenti avrebbe desiderato possedere un pezzo di terra per ricavarne almento qualche patata e un po' di frutta. Ma ogni cosa aveva un prezzo e anche il più piccolo appezzamento era troppo caro per le sue tasche. Senza conoscere un mestiere era anche difficile arrotondare lo stipendio con qualche ora di lavoro nero.

Caterina è felice, ben coccolata dal suo caldo guscio protettivo. Si accontenta di un appuntamento per trascorrere la serata in compagnia di un'amica e tutto il resto non conta. Se il mondo le crollasse addosso non se ne accorgerebbe nemmeno.

Improvvisamente un pensiero attraversa la sua mente: perchè non andare in centro a vedere che cosa offrono le vetrine per le prossime festività? Tra non molto sarà Natale e come al solito bisognerà provvedere a preparare i regali per i parenti e per gli amici.

In mezzo alla folla che ondeggia da una vetrina all'altra Caterina si sente perfettamente a suo agio. Pensa alla serata che trascorrerà in compagnia della sua amica, della sua migliore amica. Non aveva amiche altrettanto sensibili, disposte a dialogare serenamente di ogni cosa. Purtroppo i reciproci impegni impedivano una frequentazione più assidua, ma la qualità della relazione non ne soffriva.

Se Margherita fosse stata un uomo Caterina se ne sarebbe innamorata. Non poteva dimenticare quanto la loro amicizia era stata profonda e forte nei momenti difficili che avevano attraversato. Quando l'una pativa una delusione sentimentale l'altra era sempre pronta a offrire il suo sostegno con parole dolci e proposte interessanti che servivano a distrarre la mente dal dolore derivante dalla delusione.

Caterina non aveva mai subito delle delusioni sentimentali perchè fino ad ora non aveva mai accettato la corte di nessuno. C'era sempre qualche difetto nel carattere del corteggiatore che la costringeva ad assumere un atteggiamento di prudenza e di difesa. Spesso si domandava quali fossero le caratteristiche del suo compagno ideale, ma non riusciva a trovare una risposta.

Continuava a camminare senza meta percorrendo le vie centrali della città, alla ricerca di cose introvabili. Mentre camminava meditava su cose poco allegre e aveva l'impressione di essere seguito da qualche entità misteriosa che aveva deciso di occuparsi di lui. Oppure pensava di essere proprio lui a inseguire il fantasma di un'entità inesistente.

Era il momente più brutto della giornata, quello in cui si sentiva un relitto che scivola svogliatamente fra le onde di un mare infinito, dove l'orizzonte si manifesta come un'illusione ottica.

Qualche volta provava a ribellarsi a quelle sensazioni. Cercava di sfogare la sua frustrazione urlando, ma dalla sua bocca non usciva alcun suono, era costretto a comportarsi secondo le convenzioni sociali, nonostante il suo preteso anticonformismo. Tentava di addolcire la sua rabbia concentrando la sua attenzione sulle poche cose che gli parevano degne di nota. Si fermava di fronte alle vetrine sforzandosi di provare interesse per le cose che vedeva tentando di valutarne la qualità e il prezzo.

Pochi minuti dopo ricadeva nel suo pessimo umore.

L'andirivieni dei consumatori nei negozi gli ricordava quel gioco che tutti fanno durante l'infanzia, quando costruivano alla meglio delle bancarelle sulle quali disponevano accuratamente i giocattoli vecchi sperando che qualcuno fosse disposto ad acquistarli.

I negozi che lo fronteggiavano con tanti bagliori riuscivano a vendere delle cose che parevano prive di prezzo. Come era possibile che la musica,la letteratura, la scienza potessero fruttare un reddito sotto forma di diritti d'autore? Era proprio inevitabile?

La necessità per l'arte di disporre di un supporto ne facilitava la vendita nelle forme più disparate. Ogni volta che le industrie vedevano scemare anche di poco i loro profitti si impegnavano a fondo nella ricerca di un nuovo supporto in grado di creare una nuova nicchia di mercato. Tutto veniva socialmente giustificato da esigenze di modernità del tutto fantomatiche.

Si ripeteva spesso che non doveva abbandonarsi a quegli assurdi pensieri, che il suo scopo era quello di trovare un posto di lavoro, di trovare qualcuno disposto a pagare i suoi servizi, a essere soddisfatto della sua efficienza

e magari anche della sua disponibilità a fermarsi sul lavoro più tempo del previsto per sbrigare le faccende in sospeso.

Era convinto tuttavia del fatto che più si affannava nella ricerca di un lavoro e meno possibilità aveva di trovarlo, come se la sua volontà in quello strano affare non contasse per niente. Quando mai era riuscito a realizzare qualcosa che dipendesse esclusivamente dalla sua volontà? Mai.

Qualche volta ne aveva avuta l'impressione, ma presto aveva dovuto convincersi che anche in quella circostanza le cose erano andate nell'unico modo in cui potevano andare.

Non gli restava altro da fare, secondo queste meditazioni, che attendere, magari tentando di farsi notare offrendo a destra e a manca la sua disponibilità di tuttofare.

Gli accadeva di immaginare come sarebbe cambiata la sua vita se fosse riuscito a procurarsi un posto di lavoro. Al ricevimento del suo primo stipendio avrebbe finalmente potuto acquistare un nuovo paio di scarponi da montagna. Ormai non osava più chiedere dei soldi ai suoi genitori per acquistare le cose di cui aveva bisogno. Si sentiva un buono a nulla, un relitto che andava alla deriva senza produrre alcun reddito.

Era penoso non essere in grado di ricavare del denaro dalla propria vita, non poteva continuare a dipendere a lungo dai suoi cari.

La sua famiglia era benestante, non si poteva dire che in casa mancasse qualcosa, ma durante i pasti sul tavolo oltre alle normali vivande c'erano bottiglioni di bile. Il piacere di un buon pasto era rovinato dalle preoccupazioni che i suoi genitori avevano a proposito del suo futuro. Il loro figliuolo oltre a non produrre denaro era altrettanto incapace di iniziare una relazione con una brava ragazza, il quale fatto costituiva un ulteriore motivo di preoccupazione.

Desiderava la compagnia di una ragazza, ma realizzare una relazione sentimentale gli pareva un'impresa ancora più difficile della ricerca di un posto di lavoro.

Il suo stesso stato di nullateneza raffrontato alla sua età, gli impediva di procurarsi tutte quelle cose che costituiscono quelli che chiamava gli accessori dell'amore. Alla sua età l'amore non era più un gioco per ragazzi, era una cosa seria che doveva avere delle basi serie: così dicevano mamma e papà. Una relazione senza denaro era una relazione senza futuro o non era nemmeno una relazione, non era possibile.

Mamma e papà erano stati dei veri anticonformisti in gioventù, ma lo si intuiva solo dalle fotografie che mostravano ai parenti nelle grandi occasioni.

Le vie del centro per Caterina erano un museo d'arte moderna dove ogni cosa esposta era in vendita a un prezzo che di solito ne rappresentava la qualità, o almeno così pareva.

Non aveva intenzione di acquistare niente in particolare, ma sapeva che non avrebbe resistito alla tentazione di portare a casa un ricordo della sua passeggiata.

Ogni vetrina rappresentava un mondo meraviglioso, affascinante, dove si poteva sempre trovare una ragione per vivere, per sentirsi in armonia con gli altri.

A Caterina piacevano soprattutto le vetrine dei negozi dove si vendevano scarpe. Le scarpe erano così tante e così variopinte che la sua fantasia non riusciva a fare a meno di immaginare come si sarebbe sentita indossando l'uno o l'altro paio esposto. A ogni scarpa corrispondeva un tipo ideale di essere umano.

Lo sguardo di Caterina si posava su quelle scarpe come si sarebbe potuto posare sul viso del suo innamorato.

Se i prezzi delle scarpe non fossero stati così elevati ne avrebbe fatto degli oggetti da collezione così come aveva sempre collezionato francobolli e cartoline.

Di mattina, dopo la prima colazione, lucidava le sue scarpe con estrema cura. Quando le accadeva di trovare un'abrasione sulla pelle morbida di una scarpa provava all'istante un sentimento molto forte di odio nei confronti dell'oggetto che poteva averla provocata e cercava di ricordare quale fosse stato il momento in cui per una svista si era verificato quell'increscioso incidente. In una simile circostanza la sua mente non si dava pace. Per dimenticare l'oggetto del suo turbamento doveva pensare alla possibilità di acquistare un paio di scarpe nuove di zecca.

L'affetto e la cura che avrebbe dedicato al paio di scarpe appena acquistate avrebbero lenito il dolore patito nell'atto di eliminare il paio di scarpe vecchie e ormai fuori moda. Di tanto in tanto le accadeva di provare della nostalgia nei confronti di un paio di scarpe che si erano adattate molto bene alla sua personalità e al suo abbigliamento, ma quel sentimento svaniva all'istante quando contemplava una vetrina bene allestita.

Il suo rapporto con le scarpe sfiorava l'animismo, era convinta che esistesse una relazione fra il benessere dei suoi piedi e lo stato d'animo delle suole delle sue scarpe. Quando sentiva che le sue estremità inferiori pativano

il freddo dell'inverno pensava di avere offeso la sensibilità delle suole magari calpestando qualcosa di sgradevole o passeggiando accanto a un paio di scarpe indisponenti.

Quando qualche ragazzo la corteggiava non poteva fare a meno di osservare con attenzione morbosa quali fossero i modelli di scarpe da lui preferiti e la cura che vi profondeva, il relativo valore economico e se avrebbe passeggiato volentieri in loro compagnia.

Era una questione di affinità. Non si potevano unire due paia di scarpe che non avessero qualcosa in comune.

Se proprio non potevano avere dei tacchi simili dovevano almeno essere dello stesso colore, dello stesso materiale o della medesima casa produttrice.

Caterina avrebbe saputo come fare cambiare le scarpe a un ragazzo che nonostante tutto le fosse piaciuto per altri motivi. Qualche volta le accadeva di provare dell'attrazione per un certo modo di portare i capelli o magari per il loro colore, ma subito si domandava se il colore dei capelli si accompagnasse bene con quello delle scarpe.

Quando non poteva vedere le scarpe delle persone con le quali parlava provava un senso di malessere che le impediva di portare a buon termine la conversazione poichè aveva la netta sensazione che il suo interlocutore le stesse nascondendo qualcosa. Purtroppo non era affatto cosciente che l'unica cosa che il suo interlocutore le stava nascondendo erano le scarpe. In tali circostanze a poco a poco provava un'antipatia crescente per la persona alla quale stava rivolgendosi finchè era costretta ad abbandonare la discussione.

Ignaro di tutto il malcapitato si domandava che cosa mai avesse detto o fatto per offendere la suscettibilità di una così giovane fanciulla dall'aspetto purtuttavia molto gentile e meditava sull'imprevedibilità dell'azione umana.

Caterina stessa, se si fosse resa conto di quali fossero le ragioni del suo improvviso cambiamento di umore ne avrebbe ricavato un profondo senso di vergogna. La sua mente era condizionata da tutta una serie di simili incompatibilità che in determinate circostanze la costringevano ad assumere degli atteggiamenti che rendevano le sue relazioni interpersonali difficoltose e che ella stessa avrebbe disapprovato se solo fosse stata in grado di rendersene conto.

Un buon paio di scarpe, per Caterina, rappresentava una sorta di lasciapassare senza il quale era inutile qualsiasi tentativo di iniziare una relazione.

Qualche tempo prima si era innamorata follemente di un ragazzo che indossava un paio di stivaletti che le parevano molto più aggraziati di tanti altri stivaletti, ma quel ragazzo era già impegnato e non mostrava alcun interesse per lei.

Le sue peregrinazioni assumevano sempre più le caratteristiche del vagabondaggio. Si era ammalato di sfiducia nei confronti del mondo intero. Continuava a camminare senza meta. Ripeteva il medesimo tragitto ogni giorno e ogni giorno camminando pensava alle stesse cose. Avrebbe voluto interrompere quell'assurdo circolo vizioso, ma non poteva farlo, l'abitudine era più forte di lui.

Se fosse rimasto tutto il giorno in casa sarebbe stato accusato dai suoi genitori di non fare niente per risolvere il suo problema. Cercare un lavoro era diventato il suo mestiere. Abbandonata l'idea di trovare un'occupazione interessante si sarebbe accontetato del primo lavoro che gli avessero offerto.

Di fronte ai suoi occhi scivolavano le immagini confuse delle persone che quel giorno componevano una folla che fluttuava in modo più nervoso del solito. Forse i movimenti della gente erano resi più frenetici dalla vicinanza delle festività di fine anno.

Camminava come un sonnambulo. Improvvisamente sentì che qualcosa si era scontrato contro di lui. Le sue forze lo avevano abbandonato, forse era svenuto, non era sicuro di capire che cosa gli fosse accaduto.

Aveva l'impressione che qualcuno stesse tentando di comunicare con lui. A poco a poco riprese conoscenza.

Una ragazza gli domandava delle cose che non capiva bene, insisteva perchè si alzasse.

Si rialzò. Domandò alla ragazza che cosa gli fosse accaduto.

-Sei svenuto! Ti senti bene adesso? Hai un colorito molto pallido.

-Sto bene! Non è nulla.

-Forse è meglio se andiamo a sederci un momento in un bar!

Caterina accompagnò Luigi in un bar che si trovava a poca distanza dal punto in cui si erano incontrati e siccome non aveva niente di preciso da fare le sembrò naturale rimanere ancora in compagnia di quell'individuo sconosciuto nel dubbio che potesse ancora avere bisogno del suo aiuto.

I loro sguardi si incontrarono più volte, ma nessuno dei due sapeva che cosa dire. Caterina ordinò due punch, pensava che qualche cosa di caldo avrebbe fatto bene a entrambi. Non era abituata a fare conoscenza con qualcuno in modo così rocambolesco. Un imprevisto di quel genere non rientrava nello schema secondo il quale si svolgevano le sue giornate. Pensò che quella sera avrebbe avuto qualcosa di interessante da raccontare a Margherita. Era quindi un imprevisto che valeva la pena di essere vissuto fino in fondo!

Luigi stava ancora domandandosi che cosa gli fosse accaduto. Sapeva di essere svenuto, ma quale ne era stata la causa? Immaginava di avere un aspetto preoccupante dato che quella ragazza si era preoccupata per lui e che oltretutto era ancora in sua compagnia! Avrebbe voluto ringraziarla, ma non trovava le parole giuste per farlo.

Quel bar non gli piaceva, si sentiva a disagio, si sentiva osservato. Quella ragazza, poi, gli sembrava troppo ben vestita per i suoi gusti, il che gli confermava il suo sospetto di avere veramente una brutta cera.

-Non mi era mai accaduta una cosa simile. Non riesco a capire per quale motivo sia accaduta.

-Accade a tutti di svenire. E' accaduto anche a mia madre, una volta.

Caterina era emozionata, ma non riusciva a comprenderne il motivo. Forse le scarpe di Luigi erano entrate in sintonia con le sue.

-Adesso mi sento bene. Sei stata molto gentile a occuparti di me.

Caterina sorrise.

Alcuni giorni dopo Caterina ricordava ancora quell'incontro fortuito con Luigi e provava una rabbia sottile ed inconscia per il fatto di non conoscerne nè l'indirizzo nè il numero di telefono.

Luigi ricordava Caterina come un essere angelico che per qualche istante si era occupato di lui.

Nessun angelo però lo aiutava a trovare un lavoro. Forse erano troppo occupati in problemi più gravi.

Passeggiando gli accadeva di immaginare che se fosse nuovamente caduto quella ragazza sarebbe ricomparsa per aiutarlo.

I suoi pensieri ben presto ritornarono al motivo principale delle sue preoccupazioni: il lavoro. Si domandava se era giusto che ogni giorno della sua vita la sua mente fosse ossessionata da quel problema. Per quale motivo era indispensabile lavorare? Forse soltanto perchè lo facevano tutti, perchè lo faceva la stragrande maggioranza delle persone che vivevano intorno a lui.

Il posto di lavoro rappresentava una specie di rito di passaggio verso l'età adulta: era indispensabile come punto di partenza per compiere tutti i passi successivi dell'esistenza sociale di un individuo.

Senza un lavoro non poteva acquistare un'automobile.

Continuava a pensare che avrebbe accettato qualsiasi tipo di lavoro. C'era stato un momento, subito dopo di avere terminato gli studi, in cui aveva operato una selezione fra i vari tipi di lavoro che immaginava di intraprendere. Ben presto si era reso conto del fatto che l'essere umano in una società libera come la nostra non era poi così libero come lo si dipingeva. Di solito la libertà veniva definita in negativo, utilizzando come termine di paragone società che navigavano in acque peggiori. I mezzi di comunicazione di massa sembravano non fare altro che ripetere sempre le stesse cose impedendo in quel modo la discussione degli schemi sociali ed economici in uso. Forse era possibile creare un mondo migliore, ma non c'era nemmeno il tempo per immaginarlo.

Evidenziando la miseria dei vicini di casa veniva confermata la senzazione di essere stati in qualche modo privilegiati dalle circostanze. Così tutti pensavano che fosse necessario difendere ad oltranza lo stato vigente delle cose. Una situazione in cui l'individuo trovava ben poche occasioni di indipendenza veniva considerata degna di una specie intelligente.

I pochi individui che si preoccupavano di immaginare un futuro migliore ottenevano un accesso ai mezzi di comunicazione proporzionato alla loro consistenza numerica.

Spesso, quando pensava a queste cose, Luigi si accusava di pessimismo a buon mercato e decideva di non cadere più in simili trappole mentali, ma sapeva che prima o poi gli sarebbe accaduto di pensarle di nuovo.

Non poteva evitare quello che definiva il suo "vaniloquio interiore". Le rare volte che aveva provato a esternare questi pensieri se ne era pentito amaramente. I più gentili lo ascoltavano in silenzio, gli altri trovavano una scusa per andare a fare quattro passi.

Gesù passeggiava come ogni giorno seguendo il suo percorso preferito e i suoi pensieri confusi. Immaginava di riuscire ad osservare ogni cosa dall'alto, così aveva l'impressione di sapere in anticipo chi avrebbe incontrato lungo il suo cammino. C'erano delle persone che desiderava incontrare, e delle persone che gli erano antipatiche al punto da costringerlo a deviare il suo percorso abituale.

Giudicava i passanti considerandone le espressioni del viso e i colori degli indumenti. Si divertiva a indovinarne i pensieri al punto che nella sua mente alcuni di essi erano diventati dei veri e propri personaggi.

In quel momento stava avvicinandosi la signorina Ciclamino, una ragazza che era molto simpatica a Gesù per via delle espressioni che il suo viso assumeva quando si fermava a osservare le merci esposte nelle vetrine.

Quel giorno la signorina Ciclamino non era di buon umore: camminava con le spalle contratte in un atteggiamento infreddolito e non si fermava neppure di fronte alle sue vetrine preferite. Evidentemente in quel momento non godeva di buona salute o era in preda a una crisi di sconforto.

Gesù pensò che gli sarebbe piaciuto poter aiutare Ciclamino a superare quel momento difficile, ma se avesse tentato di parlare con lei molto probabilmente il suo gesto sarebbe stato frainteso. Il mondo intero aveva perso o non aveva mai avuto l'abitudine di credere che qualcuno potesse agire disinteressatamente, senza secondi fini.

Così continuò la sua passeggiata domandandosi che cosa mai avesse infranto il buon umore di quella cara ragazza. Qualche problema in famiglia? Un innamorato di troppo? Un brutto voto a scuola? Come poteva indovinare il motivo di tanta depressione non conoscendo altro che le espressioni del suo viso?

Eppure era convinto che se avesse osservato bene le espressioni del viso di Ciclamino sarebbe riuscito a conoscere qulacosa di più della sua vita.

Passo dopo passo decise che il problema di quella ragazza non era che un lieve stato influenzale. Giunse a questa conclusione perchè si rifiutava di credere a una qualsivoglia debolezza nella personalità di Ciclamino.

Se la causa di quel malessere non fosse stata di origine fisica non ci sarebbe stato un buon motivo per camminare in quell'atteggiamento infreddolito.

Presto dimenticò la signorina Ciclamino. Il continuo flusso di persone che si presentava ai suoi occhi era motivo di nuove osservazioni. La sua mente non era in grado di concentrarsi a lungo su di un tema particolare.

I ricordi si mescolavano al presente, a quello che vedeva per la strada e non di rado gli accadeva di riconoscere fra i passanti un vecchio amico che era ormai passato a miglior vita.

I volti della gente quel giorno sembravano esprimere una Preoccupazione comune. Gesù aveva imparato a riconoscere le piccole variazioni nello stato d'animo di quell'insieme di persone che lo accompagnavano nelle sue passeggiate. Su molti volti era possibile osservare una smorfia di disgusto. In molti angoli c'erano dei giovani che distribuivano dei volantini. Anche le persone più sfaccendate, quelle che passavano i pomeriggi nei bar vetrina del centro, sembravano sorseggiare con minore soddisfazione i loro liquidi preferiti.

Erano espressioni di paura. Che cosa poteva intimorire un'intera folla?

Gesù passò davanti all'edicola di un giornalaio. I suoi occhi lessero la prima pagina di un quotidiano:

"E' guerra!", era scritto a caratteri cubitali. Il suo cervello tuttavia non era in grado di associare lo stato d'animo della folla con quella notizia sconcertante. Gli accadde semplicemente di ripassare il suo repertorio di ricordi della guerra che aveva vissuto personalmente. Quei ricordi causarono in lui l'insorgere di un umore molto simile a quello della folla. Continuava a eseguire il segno della croce: quel giorno il suo moto nervoso doveva sembrare meno fuori luogo del solito.

Non era possibile che fosse scoppiata una nuova guerra. Gesù non sapeva niente di quanto era successo nel mondo negli ultimi mesi, viveva in una condizione nella quale il tempo perdeva il suo significato e le informazioni diventavano inutili.

Il ritmo delle sue giornate era scandito da piccoli accadimenti quali i pasti serviti dal personale del ricovero, l'avvicendarsi del giorno e della notte, il fischio prolungato dei treni che arrivavano alla stazione lì vicina.

Sapere che cosa accadeva nel mondo in un certo momento non sarebbe servito ad altro che a confondergli le idee.

Ricevere una quantità maggiore di informazioni lo avrebbe allontanato ancora di più dalla realtà.

Una signora che sembrava provare della simpatia per lui lo invitava a guardare insieme a lei i programmi televisivi.

Di fronte al televisore Gesù aveva delle reazioni che alla signora Valero piacevano molto. Gesù, stimolato dalle immagini e dalle parole del televisore, si lasciava andare a confidenze spettacolari per il loro carattere fantasioso e per il modo in cui la medesima confidenza veniva di volta in volta riutilizzata con delle piccole variazioni che ne stravolgevano completamente il significato.

Non era raro che il lettore del telegiornale venisse identificato da Gesù nella persona di un suo caro amico d'infanzia e compagno di lavoro alle fonderie Lapislazzuli; sottolineava che si trattava di una persona dotata di buon senso e di grande dedizione al lavoro, che meritava pienamente quel nuovo posto di lavoro in televisione, che un giorno o l'altro sarebbero andati a trovarlo o senz'altro sarebbe venuto lui stesso lì dove si trovavano.

Chissà che quel suo carissimo amico in un suo slancio di generosità non li invitasse a partecipare in qualità di ospiti a qualche programma domenicale.

La signora Valero ascoltava divertita e qualche volta credeva ai racconti del suo interlocutore, quando non erano palesemente infondati.

In quel momento il televisore trasmetteva immagini di guerra, ma la signora Valero e Gesù non sembravano particolarmente turbati da quelle scene orrende.

Il commentatore parlava con tono soddisfatto di "operazione chirurgica" perfettamente riuscita e lodava la precisione e l'efficacia delle armi più moderne.

Poche persone sarebbero riuscite a commentare con maggiore cinismo l'inizio di una nuova guerra: sembrava il commento di un'emozionante incontro sportivo, niente di più.

Molte persone si sarebbero preoccupate seriamente della guerra soltanto quando una bomba piovuta dal cielo avesse distrutto la casa nella quale vivevano serenamente.

Altre persone si sarebbero preoccupate soltanto di avere in casa abbastanza zucchero e caffè per far fronte a ogni evenienza. Senz'altro tutti avrebbero ascoltato con attenzione ogni edizione del telegiornale e molti avrebbero sostenuto che si trattava di una guerra "giusta".

Gesù pensava alla signorina Ciclamino e si domandava che cosa mai l'avesse turbata quel pomeriggio.

Forse era morto il suo cane o il suo pesciolino rosso. Era così preoccupato che stava quasi per parlare alla signora Valero, aveva un gran bisogno di essere rassicurato, di essere aiutato a trovare una buona ragione per giustificare quel comportamento insolito. La signora Valero avrebbe apprezzato la confidenza di Gesù su di un argomento così delicato, così poetico, ma Gesù temeva di diventare la vittima di un malinteso che lo avrebbe trasformato nello zimbello del ricovero.

La signora Valero non meritava tanta diffidenza, era sempre stata molto riservata, non le era mai accaduto di causare con i suoi pettegolezzi un danno morale a qualcuno. Se qualche volta le accadeva di parlare di persone che non erano presenti lo faceva in modo raffinato, attenendosi scrupolosamente ai fatti dei quali era certa, non permettendosi alcuna licenza poetica su situazioni che la riguardavano direttamente.

Era così severa con se stessa che se proprio non riusciva a evitare di esprimere dei cattivi giudizi infondati correva verso il più vicino confessionale con una grande afflizione che appesantiva il suo cuore e le procurava dei forti dolori al capo.

Liberatasi nel segreto della confessione del suo peso interiore ritornava a casa con il fermo proposito di non ricadere nel medesimo errore, pensando che se accadeva a lei di parlare male di qualcuno senza dubbio era possibile che qulcuno parlasse male di lei. Questa eventualità la riempiva di sgomento soprattutto perchè non era più sicura di che cosa pensassero di lei le sue amiche, i suoi colleghi.

Gesù non si fidava della sua compagna perchè si comportava ancora come una persona perfettamente inserita nella vita attiva , non si rendeva conto del fatto che niente può fermare o almeno controllare le male lingue che operano nell'ombra e che il passatempo preferito di tutti i ricoverati era proprio l'esercizio del pettegolezzo astratto, di quel genere di pettegolezzo che mantiene in esercizio la fantasia.

Caterina se ne stava comodamente sdraiata sul divano del soggiorno, di fronte al televisore. Stavano trasmettendo un film che desiderava vedere da molto tempo, ma non riusciva a evitare una sensazione di disagio che la innervosiva, che le impediva di concentrarsi sui fatti che accadevano nella finzione cinematografica.

Le frequenti interruzioni per le edizioni straordinarie del telegiornale le procuravano delle sensazioni di paura anche se era del tutto indifferente ai fatti riportati.

Come mai nessuno sentiva la sua mancanza, nessuno la cercava, nessuno si innamorava follemente di lei?

Il suo ottimismo stava sciogliendosi come un fiocco di neve al sole.

Se Margherita non si fosse innamorata di Giuseppe forse avrebbe potuto dedicarle un po' più di attenzione.

Un appuntamento per una serata in pizzeria sarebbe stato sufficiente per rallegrarla.

Decise di uscire. Indossò il suo cappotto preferito e in un attimo si ritrovò a passeggiare come al solito per le vie del centro, ma questa volta ad un'ora piuttosto insolita, e le vetrine erano tristemente prive di illuminazione.

A poco a poco cominciò a provare una sensazione di paura che si manifestava in una forte attenzione nei confronti di tutto quello che accadeva intorno a lei. Se una formica le avesse attraversato la strada se ne sarebbe certamente accorta.

Accelerò il passo.

Ad un tratto si fermò. Luigi si trovava proprio di fronte a lei.

-Dove stai andando?- Domandò Caterina. Era inconsueto per lei pronunciare una domanda così indiscreta a una persona poco conosciuta, ma il suo stato d'animo giustificava tutto, aveva bisogno di essere accompagnata, non aveva voglia di continuare la passeggiata da sola.

Luigi accettò volentieri. Il suo bisogno di parlare con qualcuno non era inferiore a quello di Caterina.

Caterina propose di entrare in un bar.

Il caffè Roma quella sera era quasi deserto, il cameriere li servì subito. I giocatori di carte avevano disertato i loro tavolini preferiti per non perdere le edizioni straordinarie del telegiornale.

Luigi era piacevolmente sorpreso dalla situazione in cui si trovava coinvolto. Osservava il viso sorridente di Caterina.

Entrambi non avevano nulla da dire, ma erano contenti di avere di fronte una persona amica.

-Questa sera mi sento inquieta, non riesco a capire che cosa mi sta succedendo. Non esco mai da sola la sera.

Qualche cosa mi ha costretta a uscire. Se non fossi uscita probabilmente sarei sprofondata in una crisi di depressione. La solitudine gioca dei brutti scherzi. Si finisce con l'autocommiserarsi senza rendersene conto. Quando ti ho visto ho provato una specie di sollievo. Forse stavamo provando le stesse sensazioni, i nostri stati d'animo erano simili.

Io, io non so che cosa dire, non so perchè ti ho fermato in mezzo alla strada, non so che cosa mi sta succedendo...

Caterina era in preda a una crisi nervosa, scoppio in lacrime. Tentò di fermare le lacrime con un fazzoletto. Luigi era imbarazzato, non sapeva che cosa fare. Se almeno il bar non fosse stato così vuoto, freddo e silenzioso.

Entrambi sentirono il bisogno di uscire dal bar. Si ritrovarono, Caterina ancora in lacrime, a camminare lungo un viale di ippocastani. Il silenzio continuava a sottolineare il pianto di Caterina. Una nebbia sottile creava un'atmosfera surreale. Il freddo e il desiderio di consolare Caterina spinsero Luigi a pronunciare alcune parole

consolatorie. Rendendosi conto che le parole non potevano essere d'aiuto le mise una mano sulla spalla e camminarono così per parecchi minuti avvolti ognuno nei suoi pensieri.

Si ritrovarono di fronte alla casa di Caterina. Si salutarono. Luigi pensò che le ragazze riescono sempre a farsi accompagnare a casa.

Le strade erano quasi deserte. Di tanto in tanto sfrecciava un'automobile con la radio a tutto volume. Tutto sembrava normale: i barboni erano al loro posto sotto i giornali, accovacciati nei loro angoli preferiti; i giovani erano appena usciti dalle loro discoteche preferite e approfittavano del traffico poco intenso per i loro esercizi di guida spericolata.

I passi di Luigi risuonavano sotto il porticato con un tono allegro che lasciava trasparire uno stato d'animo soddisfatto dell'incontro imprevisto.

Accadeva raramente nella realtà di contravvenire alle regole della diffidenza, dell'orgoglio che impedisce di chiedere aiuto, dell'isolamento che reprime il desiderio di conoscersi.

Gli sembrava di avere sognato. Per provare a se stesso che non aveva sognato ritornò fino alla casa di Caterina.

Verificata la corrispondenza del sogno con la realtà si diresse verso casa sua pensando a ogni cosa fuorchè alla ricerca del posto di lavoro.

Per qualche giorno la sua mente sarebbe stata occupata soprattutto dal ricordo di quell'incontro e dalla speranza che potesse ripetersi.

Sarebbe stato sufficiente recarsi alla casa di Caterina per informarsi sul suo stato d'animo e costruire così un rapporto di amicizia, ma Luigi non aveva il coraggio di compiere un gesto così naturale, temeva di rovinare la bellezza del suo prezioso ricordo, temeva di essere trattato con freddezza.

Spesso passeggiava i prossimità del punto dove si erano incontrati sperando che per una fortunata coincidenza Caterina passasse di lì proprio in quel momento.

Era un desiderio che aveva ben poche possibilità di avverarsi considerato il gran numero di persone che frequentavano quella zona della città.

La televisione trasmetteva un dibattito sull'imminenza della battaglia campale. Seduta su uno dei divani che si trovavano di fronte al televisore, la signora Valero stava pensando ai suoi figli. Si preoccupava soprattutto per Caterina, così giovane e sola. Forse non avrebbe dovuto ritirarsi nel ricovero, forse avrebbe dovuto continuare a occuparsi di lei, ma era sempre stata ossessionata dall'idea di non diventare un peso per i suoi figli.

Temeva di non riuscire a riconoscere il momento in cui il suo cervello e il suo corpo non fossero più stati in grado di compiere quelle semplici operazione che una persona deve svolgere ogni giorno.

La lontananza dei suoi figli le pesava non poco: quel ricovero era troppo lontano dalla casa di Caterina. D'altra parte era antipatico dover rendere conto al personale del ricovero di ogni sua uscita. C'era sempre qualcuno che la esortava a non uscire accampando ogni sorta di motivazioni, dal brutto tempo al pericolo di contrarre un'influenza. La sua libertà era appesa a un filo: sapeva che molti dei suoi compagni di poco più anziani di lei non riuscivano a ottenere il necessario consenso per oltrepassare il confine con il mondo esterno rappresentato dalla portineria.

Al risveglio i suoi occhi erano come al solito rivolti verso il soffitto. Era il momento in cui i sogni si confondono con la realtà e tutto sembra nello stesso tempo reale e incredibile.

-Abbiamo bisogno di personale specializzato nella progettazione di elettrodomestici, dotato di un'esperienza di almeno cinque anni nel settore.

-Non avete bisogno di un semplice ragioniere? Forse non ho capito bene l'annuncio che avete pubblicato sul giornale...

-No, lei ha capito benissimo. Noi dobbiamo assolutamente evitare che la concorrenza sia in grado di anticipare le nostre mosse. Ci troviamo in una situazione caratterizzata da un mercato favorevole all'espansione del nostro fatturato nella produzione di piccoli e grandi elettrodomestici. Se le aziende che normalmente si pongono in concorrenza rispetto alla nostra produzione ci rubassero l'idea non potremmo più sperare di conseguire gli utili che ci prefiggiamo. Lei dunque non è un esperto nella progettazione di elettrodomestici?

-No!

-Forse il nostro annuncio non era sufficientemente preciso. Per caso non conoscerebbe qulcuno in grado di progettare almeno un ferro a vapore o un tritacarne?

-Se riesco a trovare un buon progettista mi assumete come contabile?

-La sua proposta ci alletta ma il nostro bilancio non ci permette di aumentare troppo i costi. Diciamo che potremmo assumerla non appena gli affari si sviluppassero positivamente grazie alla vendita degli elettrodomestici. In tal caso penso che la nostra riconoscenza nei suoi confronti sarebbe davvero grande!-

Scene di questo tipo si ripetevano all'infinito nella mente di Luigi.

-Lei cerca un lavoro in qualità di contabile?

-Sissignore, ho risposto all'annuncio che avete pubblicato sul giornale.

Una voce materna, gentile, un volto di donna dall'espressione molto dolce rappresentavano il funzionario addetto alle ricerche di personale di una grande azienda.

-Allora, figliuolo, se ha bisogno di lavorare perchè non si dà da fare? Ci sono moltissime opportunità per un giovane come lei... Dovrebbe cercare di farsi conoscere, di non lasciare niente di intentato...

-E' proprio quello che sto facendo. Ho letto il vostro annuncio e mi sono presentato subito per evitare che qulcuno arrivasse prima di me...

-Bravo, veramente encomiabile! E quale pensa che sarà la sua prossima mossa, se posso essere indiscreta?

-Veramente... Non sono sicuro di avere capito bene il suo discorso... Lei pensa che potrei ottenere il posto di lavoro per il quale avete pubblicato l'annuncio?

-No..., non credo... Lei mi piace, è un bravo giovine... Sono sicura che farà strada nel mondo del lavoro...

Ma non qui... L'ultima volta che abbiamo assunto un contabile è stato circa cinque anni fa... La congiuntura economica non è per niente favorevole... Personalmente ritengo che per molto tempo ancora dovremo affrontare più licenziamenti che assunzioni... D'altra parte... Lei è in grado di presentarci delle buone credenziali?

-Nell'annuncio non si parlava di credenziali...

-Vedo che lei, giovanotto, ha ancora molte cose da imparare... Come può pensare di ottenere un post di lavoro senza l'appoggio morale di qualche persona la cui fama sia irreprensibile?

-Non conosco nessuno che possa raccomandarmi... Pensandoci bene, forse potrei chiedere l'appoggio morale di mio cugino che si è arricchito con il commercio ambulante di torroni...

-Deve puntare più in alto! Comunque mi pare di capire che lei ha afferrato molto bene il concetto che le ho appena esposto... Purtroppo devo salutarla, il tempo stringe, ho ancora molti colloqui... L'annuncio che abbiamo pubblicato ha riscosso un immediato successo...

-Posso sperare in quel posto da contabile? Quando posso presentarle le mie credenziali?

-Evidentemente non ci siamo capiti, figliuolo. Noi non abbiamo la minima intenzione di assumere del personale. Siamo al completo, anzi in soprannumero!

-Chissà perchè pubblicate degli annunci come quello che ho letto, allora...

-Le dirò di più, qui non si accettano neppure le domande di assunzione... Non pensi di sprecare dei soldi in francobolli per spedirci una di quelle lettere patetiche nelle quli si implora un posto di lavoro... Il nostro ufficio, per ordini ricevuti dalla direzione sarebbe costretto a cestinarla senza nemmeno leggerla...

-Tutti i colloqui di cui parla a che cosa servono?

-Servono a mantenerci in esercizio... Adesso se ne vada, sloggi! La nostra pazienza ha un limite, non abbiamo tempo da perdere! Questa è un'azienda seria, non è un bordello, nè una bisca clandestina, tantomeno una discoteca! Se ne vada! Il suo linguaggio è intriso di arcaicismi, come può pensare di fare carriera nella vita? Con la sua filosofia spicciola può andare a vendere torroni con suo cugino...

Tra un incubo e l'altro gli accadeva di pensare a Caterina. Gli sembrava di sentire la sua voce...

-Hai trovato lavoro? Se trovi lavoro possiamo viaggiare insieme... Possiamo organizzare delle belle gite... Senza soldi è più difficile. Sei sicuro di avere fatto di tutto per trovarlo? Se ci si dà da fare, se si desidera veramente lavorare è impossibile non trovare lavoro...

Soltanto i fannulloni non riescono a trovare lavoro: è così vero che è diventato un luogo comune....

Sono tutti d'accordo! L'unico colpevole della situazione in cui ti trovi sei tu... La tua posizione economica non ti permette nemmeno di portarmi al cinema... Sei uno straccio... Un quarto di cartuccia... Quando ti deciderai a darti veramente da fare... Prima o poi dovrai fare fronte ai tuoi impegni... assumere delle responsabilità... A quel punto saresti costretto a svenderti... Chi non riesce a vendersi è costretto a svendersi... Ti ritroverai con una cazzuola in mano e un secchiello nell'altra... Sicuramente non mangerai del caviale a colazione! Per migliorare il tuo umore e il tuo odore non ti basterà fare il bagno in un buon deodorante!

Senza un buon lavoro tu per me sarai soltanto un estraneo.-

Queste elucubrazioni lo tormentavano ogni mattina, al risveglio. Erano un riassunto esagerato delle sue giornate trascorse tra i colloqui e la predisposizione di nuove domande di assunzione.

Caterina non amava trascorrere molto tempo a guardare la televisione, ma da quando era scoppiata quella guerra che molti chiamavano eufemisticamente operazione di polizia internazionale non poteva fare a meno di seguire ogni edizione straordinaria del telegiornale.

Il bellicismo espresso in un mondo che si considerava la quintessenza del progresso e del benessere le davano il voltastomaco. L'occidente dei bagordi non era in grado di risolvere senza spargimento di sangue situazioni critiche da esso stesso create con il commercio di ogni diavoleria mortale.

La guerra sembrave l'epilogo inevitabile di un grandioso fenomeno di antagonismo commerciale tra gruppi produttori di strumenti moralmente giustificati troppo spesso dal concetto della deterrenza.

Eppure di fronte ai commenti dei giornalisti più favorevoli all'intervento militare Caterina si sorprendeva spesso nell'atteggiamento di annuire come se qualche oscura forza diffusa dal televisore fosse in grado di condizionare il suo comportamento. Non si trattava che di un lieve movimento del capo, ma non poteva e non voleva condividerne il significato con i suoi pensieri. Era come se il corpo e la mente disponessero ciascuno di un'autonoma capacità di giudicare.

Gli avvenimenti sembravano susseguirsi nel solo modo che la natura delle circostanze rendevano possibile.

Ogni nuovo passo delle forze contrapposte era prevedibile con un discreto anticipo grazie alla pubblicità che se ne faceva forse proprio per creare una base di legittimità e di consenso di massa alle nuove iniziative.

Caterina aveva una sola certezza: era sicura di non poter sfuggire in nessun modo a quel tipo di propaganda che la costringeva ad acconsentire di fronte all'espressione di opinioni che ad un'analisi più approfondita non condivideva.

Erano le due del pomeriggio. Decise di uscire. Camminare era l'unico modo che conosceva per eliminare la tensione nervosa che le procurava l'inattvità. Non era facile lasciara scorrere le giornate senza impegni, senza una meta da raggiungere. Ogni mese sul suo conto corrente veniva accreditata una somma che le permetteva di

affrontare la vita senza problemi di tipo economico.

Pioveva. Decise di recarsi al parco del Valentino. Era curiosa di sapere se nonostante la pioggia il parco fosse frequentato da qualcuno. Incontrò un signore anziano che camminando ripeteva senza interruzioni il segno della croce. Rimase impressionata da quella visione e per alcuni minuti non potè fare a meno di domandarsi quale potesse essere l'origine di quel comportamento.

Poteva essere un tic nervoso, poteva essere un momento di delirio, un tipo particolare di follia... nel mome del padre, del figlio e dello spirito santo. Quel signora aveva l'aspetto lugubre di un esorcista che camminando non dimenticava di cacciare il demonio, forse onnipresente nelle vie della città.

La pioggia diventava sempre più sottile, impercettibile ma penetrante. Caterina stava camminando nervosamente, come se dovesse fuggire. Se il tempo fosse stato più gradevole avrebbe desiderato noleggiare una bicicletta. Una ragazzina si avvicinò a Caterina con l'evidente desiderio di dirle qualcosa.

-Mi dai mille lire? Mia madre è andata via con il suo amico e non mi ha lasciato niente da mangiare...

Caterina pensò che quella ragazzina aveva inventato un motivo originale per chiedere dei soldi alla gente. Se qualcuno le avesse chiesto dei soldi con la scusa di avere finito la benzina lo avrebbe apostrofato con un rifiuto deciso, ma quella motivazione non se l'aspettava proprio, era così incredibile o almeno così insolita da suscitare una curiosità molto forte, un insopprimibile desiderio di conoscere meglioquella ragazzina, di conoscere la sua storia...

-Dove è andata tua madre con il suo amico?

-Non lo so! Non me lo ha detto. So che non ritorna prima di domenica prossima... Mi dai mille lire?

La pioggia aveva infradiciato i vestiti di quella ragazzina al punto da indurre Caterina a un sentimento di pietà.

-Sei sicura di non raccontarmi una bugia?

-Vuoi venire a casa mia? Il frigorifero è vuoto. Quando mia madre se ne va devo aggiustarmi da sola...

-Come ti chiami?

-Chiamami come ti pare...

-Tua madre come ti chiama?

-Mia madre non c'è quasi mai e quando c'è non mi cerca... Se non sono in casa è ancora più contenta.

-Perchè non vuoi dirmi come ti chiami?

-Mi chiamo Giulia, Michela e Francesca... Scegli il nome che ti piace di più...

-Se invece di darti le mille lire andassimo a mangiare qualcosa in un bar?

-Andiamo da Felice. E' amico mio. Ci farà lo sconto. Lungo la strada per il bar Giulia salutò tutti i suoi amici e sembrava averne tanti tra i frequentatori abituali dei margini della città. Se incontravano un barbone Giulia lo salutava come ci si saluta tra vecchi amici.

Caterina pensò che andare da felice le avrebbe procurato delle situazioni imbarazzanti, ma non osava indispettire quella ragazzina smaliziata.

-Felice fa degli ottimi panini. Ne hai di soldi?

Caterina non rispose. Si limitò a sorridere. La preoccupazione principale di Giulia Michela Francesca doveva essere proprio la mancanza del denaro per mangiare.

Entrarono da Felice. Il locale era molto piccolo, non esisteva un angolo riservato nel quale rifugiarsi.

Da dietro il bancone il barista urlò immediatamente in tono scherzoso:

-Brava Miky! Ti sei trovata un'altra mamma che paga il conto?

Caterina si sentì sprofondare nel pavimento di quel bar: non era abbastanza disinvolta per rispondere a tono.

Salutò timidamente quasi con un senso di colpevolezza mentre la sua compagna si trovava perfettamente a suo agio di fronte a quell'uomo grossolano.

-Ciao nonno! Se non ti porto qualche cliente fallisci e vai a vivere sotto i ponti...

Miky trascinò Caterina verso un tavolino sul quale c'era una vecchia dama cinese.

Tutto quello che vedeva gli pareva inconsistente, privo di un valore reale. Pensò che con l'aiuto di una campagna pubblicitaria ben studiata sarebbe riuscito a trasformare degli oggetti insignificanti in ricercatissimi beni di investimento.

Il mondo gli sembrava una gigantesca sala d'attesa dove esseri umani pazienti sopportavano la loro stessa esistenza cencando nel consumismo una possibilità di evasione dalla noia quotidiana. L'impossibilità di scegliere le cose più importanti doveva trovare una compensazione nella possibilità di decidere che cosa consumare.

D'altra parte non si poteva essere sicuri nemmeno di poter consumare esattamente quelle cose di cui si avesse veramente bisogno. Nell'insieme la società non sembrava altro che un ciclo di trasformazione della materia... Una trasformazione disordinata, immotivata, squilibrata.

Luigi si rese conto di essere nuovamente caduto nella trappola dei pensieri retorici, si rimproverò e promise a se stesso che da quel momenrto in poi si sarebbe concentrato sullo scopo principale delle sue giornate.

Un amico di famiglia gli aveva consigliato di presentarsi in una certa ditta della quale non ricordava nemmeno il nome, ma che sapeva dove trovare. Si trattava di uno studio pubblicitario che aveva bisogno di personale per lo svolgimento di ricerche di mercato.

La sede della ditta si trovava in centro città, in un vecchio edificio non molto ben conservato. L'ufficio si presentava come un lungo corridoio sul cui lato destro si aprivano le porte di diverse stanze. Una segretaria lo accompagnava all'ufficio del titolare. Era l'ufficio più lontano dal punto in cui era entrato nel corridoio.

Luigi bussò. Una voce cavernosa gli intimò gli intimò di attendere. La segretaria lo pregò a sua volta di attendere che il titolare lo chiamasse e gli spiegò senza motivo che proprio in quei giorni la ditta stava per concludere un contratto per la gestione di una campagna pubblicitaria molto importante. Luigi rispose meccanicamente che non aveva nulla di urgente da fare. La segretaria lo invitò ad accomodarsi. Poco dopo si affacciò alla porta dell'ufficio vicino a quello del titolare una donna che lo invitò a entrare.

-Il signor Berti è molto impegnato. Mi ha pregato di riceverla... Prego... Il suo nome? Lei pensa di essere adatto al tipo di lavoro che possiamo offrirle? Lei è senz'altro una persona disinvolta, che non ha problemi a entrare in contatto con persone anche sconosciute, quindi il signor Berti mi ha pregato di comunicarle tutta la nostra disponibilità...

-In che cosa consisterebbe questo lavoro?

-E' un lavoro interessante, che le permetterà di asquisire una notevole esperienza nel settore... Per cominciare le affideremo lo svolgimento di una certa quantità di interviste... Non dovrà fare altro che porre delle domande a un certo tipo di persone abbastanza ben definito... La cosa più importante è saper scegliere correttamente i soggetti da intervistare.

E' indispensabile riuscire a ottenere delle risposte serie dal tipo di persona che il nostro cliente ci indica...

Lo scopo di questo lavoro è preparare le basi per il lancio sul mercato di un nuovo prodotto.

-Se non sono troppo indiscreto potrei sapere quale sarà il mio trattamento economico?

-Inizialmente sarà di cinquecento lire per intervista... A seconda delle difficoltà che l'intervista comporta il prezzo può variare... Può variare anche a seconda della cifra che il nostro cliente è disposto a pagare.

Luigi rimase per alcuni istanti in silenzio con lo sguardo involontariamente fissato sul viso della sua interlocutrice. La situazione che gli si prospettava non era delle migliori e il trattamento retributivo era difficilmente calcolabile poichè gli mancava l'esperienza necessaria per sapere quante interviste sarebbe riuscito a effettuare in un giorno...

Nel complesso quella proposta di lavoro gli pareva poco attraente. Era uno di quei lavori che si accettavano quando proprio non si riusciva a trovare niente di meglio e di certo non si poteva nemmeno sperare di essere assunti regolarmente. Il viso di quella donna non gli era del tutto sconosciuto. I capelli lisci, neri, tagliati a caschetto, gli occhi scuri e profondi revvivati da un trucco leggero, le movenze delicate e insicure, come se non sitrovasso a suo agio nel compito che le era stato affidato... Probabilmente era la prima volta che le veniva affidato un incarico di quel tipo.

-Allora... accetta?

Luigi non riuscì a rispondere subito. Era la prima volta che qualcuno gli offriva un lavoro, ma sapeva anche che quel lavoro non gli sarebbe piaciuto e che ne avrebbe conseguito un utile irrisorio. L'impiegata era visibilmente infastidita dal modo in cui si sentiva osservata.

-Se non le interessa lo dica pure chiaramente... Ci sono milioni di disoccupati che accetterebbero senza nemmeno sapere di che lavoro si tratta.

Continuando a domandarsi a quale persona da lui conosciuta rassomigliasse il viso che stava fissando ormai da alcuni minuti, Luigi si rese conto del fatto che non poteva rifiutare nessuna proposta di lavoro.

Con grande sollievo dell'impiegata disse che lo accettava e che sperava di essere in grado di operare nel migliore dei modi.

-Quando comincio?

-Anche subito se vuole...

In un istante Luigi si ritrovò seduto dietro a una scrivania sulla quale si trovavano diversi mucchietti di fogli, lavori lasciati in sospeso dal suo predecessore.

Cercava disperatamente di annientare l'angoscia con la lettura frenetica e inconcludente di diverse riviste. Davanti ai suoi occhi scorrevano decine di immagini spesso contrastanti. Servizi giornalistici riguardanti zone del mondo dove la vita era tutt'altro che una serena passeggiata si altenavano a pagine che pubblicizzavano una nuova saponetta, un anello con pietre preziose o il detersivo che lava più bianco del bianco più bianco.

Si sentiva inutile. Decise di scrivere un romanzo. Prese un vecchio quaderno sul quale anni prima era solita annotare i fatti salienti delle sue giornate e lo aprì alla prima pagina ancora da imbrattare.

Non le interessava scrivere una storia che avesse una trama ben definita, con tanti personaggi da muovere con l'aiuto della fantasia... Desiderava ascoltare con pazienza che cosa la sua mente voleva esprimere e riportarlo senza troppe pretese sulla carta.

Rimase a lungo immobile con una penna in mano, con lo sguardo quasi fisso sulla parete bianca come il foglio del quaderno che paziente attendeva le sue frasi, ma i pensieri non erano mai abbastanza definiti per poter essere tradotti in frasi di senso compiuto.

Assorta nella contemplazione del muro e del foglio del quaderno si abbandonò ai suoi ricordi. Le cose che ricordava meglio erano tutte le situazioni in cui a causa della sua indecisione aveva dovuto rinunciare a cambiare la sua vita.

Tra un ricordo e l'altro si rese conto che qualcuno la stava chiamando gridando il suo nome dalla strada.

Caterina si affacciò a una finestra. Era Miky. Come era riuscita a scoprire dove abitava? Accennò un saluto e le fece cenno di salire. Forse Miky le avrebbe offerto lo spunto che le mancava per scrivere il suo romanzo.

Quella ragazzina conosceva la vita molto meglio di lei. Si rese conto di avere pensato almeno per un attimo a sua madre. Non era mai andata d'accordo con lei, eppure tutto quello che aveva era merito suo. Le sembrava che la sua esistenza avesse qualcosa in comune con quella della sua giovane amica.

Entrambe avevano un rapporto difficile con la propria madre, anche se per motivi diversi.

Miky entrò nella casa di Caterina senza spiegare la sua visita con delle ragioni particolari. Entrambe si sentivano sole, si trovavano nella condizione ideale perchè nascesse una solidarietà abbastanza forte per sostenere una relazione di amicizia.

Era la prima volta che Miky veniva a trovarla, ma non provava alcun senso di fastidio a causa della presenza di quella ragazza così diversa da lei e dal suo piccolo mondo, anzi era contenta che riempisse con la sua esuberanza quella casa troppo vuota e troppo grande per una sola persona.

Caterina offrì a Miky un tè.

-Non avresti per caso anche dei biscotti?

-Tua madre è di nuovo andata via?

-Non è ancora ritornata!

Nella mente di Caterina si affollarono sentimenti di rabbia frammisti al desiderio si sapere qualcosa di più sulla vita della madre di Miky.

-Come si chiama tua madre?

Miky non rispose subito alla domanda. Per alcuni istanti si limitò a guardare negli occhi Caterina. Era uno sguardo eloquente, sembrava esprimere esattamente quello che Miky pensava di sua madre e nello stesso tempo esprimeva il desiderio di non affrontare quell'argomento. Che bisogno c'era di parlare di una persona assente, introvabile, imprevedibile?

-Mia madre si chiama come te.

Seguirono lunghi istanti di silenzio durante i quali a entrambe accadde di provare un profondo senso di confusione e di commozione.

Miky scoppiò in lacrime. Caterina le accarezzò i capelli e qulche lacrima sfuggi anche a lei. Quella ragazza laconica, ma incredibilmente espressiva sembrava manifestare con il suo pianto un disperato bisogno di affetto e di solidarietà.

A Caterina quello che stava accadendo sembrava così insolito e improbabile che si sentì come paralizzata in quell'abbraccio imprevisto, senza riuscire ad abbandonare quell'essere tenerissimo che aveva cercato il suo aiuto. Miky, giunta allo stremo delle forze, si addormentò fra le braccia accoglienti della sua nuova amica.

Il silenzio rendeva quasi fragoroso il respiro profondo di Miky. Caterina era contenta di poter essere utile a qualcuno e si concentrò profondamente su quel respiro delicato. Le sembrava un grande privilegio quell'occasione di stringere tra le braccia un essere così fragile. Quel momento compensava con la sua bellezza tutte le giornate noiose e inconcludenti vissute con la sola compagnia di un senso di inutilità dell'esistenza, di scarsa autenticità delle cose.

Il respiro di Miky scandiva il tempo accompagnato dalle note del Peer Gynt diffuse dalla radio del vicino.

La sua mente ricordava gli anni in cui aveva la stessa età di Miky. Il calore del corpo di Miky la indusse ad uno stato di sonnolenza. Sbadigliò ripetutamente finchè la realtà e il sogno si confusero in un sonno profondo.

La radio del vicino trasmetteva un'edizione straordinaria del giornale radio per annunciare che il presidente degli Stati uniti d'America aveva deciso di sospendere le ostilità. Caterina si risvegliò proprio in quel momento: una lacrima di gioia andò a bagnare le sue labbra con un sapore agrodolce che in fondo, pensò compiaciuta, era il sapore della realtà.

Il peso del corpo di Miky cominciò a procurarle una smania di alzarsi e di camminare per sgranchirsi le gambe indolenzite dal mantenimento prolungato di quella posizione scomoda.

Eppure non osava disturbare il sonno della sua giovane amica che mostrava con il suo viso impegnato in una smorfia di piacere di gradire l'accoglienza che le era stata risevata.

Caterina riuscì a liberarsi dalla posizione scomoda nella quale era costretta senza svegliare Miky. Rimase per alcuni istanti in piedi accanto al corpo insonnolito di Miky rimpiangendo di avere abbandonato quel tenero abbraccio, dopo di che cominciò a impadronirsi di lei un senso di responsabilità che prima di quel momento non aveva mai provato. Che cosa sarebbe successo quando quella ragazzina si fosse svegliata?

Pensava di essere in grado di offrire alla sua giovane amica tutta la solidarietà della quale era capace e nello stesso tempo temeva le conseguenze spiacevoli che potevano derivarne. Se Miky avesse approfittato troppo alungo della sua ospitalità la gente, i vicini di casa si sarebbero domandati quale strano rapporto esistesse tra di loro.

La madre di Miky avrebbe potuto assumere un atteggiamento indifferente, ma non era ingiustificato supporre che per qualche residuo sentimento di orgoglio si sarebbe offesa, avrebbe difeso i suoi diritti di madre come se nulla al mondo le importasse più della sua bambina.

Pensare a queste cose non aveva senso, pensò Caterina. Miky con ogni probabilità si sarebbe trattenuta solo per poco tempo. Le sue esperienze di vita vissuta pericolosamente le avevano insegnato che era inutile affezionarsi

troppo ad una sola persona, o forse non le era mai successo di incontrare una persona che le permettesse di affezionarsi a lei, quindi poteva accadere che non desiderasse ritornare a vivere da sola nella casa vuota di sua madre e che rimanesse dove si trovava per qualche giorno...

Erano pensieri inconcludenti. Non poteva fare altro che attendere, osservare il comportamento di quella ragazzina.

Il corridoio era deserto. Gli ospiti del ricovero erano già tutti a letto. Gesù non riusciva a dormire, aveva bisogno di camminare fino a quando la stanchezza fisica lo avesse invitato a raggiungere volontariamente il suo letto. Gli permettevano di passeggiare nonostante quello non fosse il momento giusto soltanto a patto che usasse un paio di pantofole silenziose e che non disturbasse in alcun modo gli altri ospiti.

Era un privilegio che gli veniva abitualmente rimproverato dalla signora Valero, che non poteva tollerare una qualsiasi mancanza di disciplina.

L'illuminazione di quel lungo corridoio era così fioca che se Gesù non avesse conosciuto a memoria ogni angolo del ricovero avrebbe rischiato lo scontro con le sedie e i tavolini che si trovavano disseminati vicino alle finestre che si affacciavano sul cortile interno dell'edificio.

Di tanto in tanto si fermava davanti a una finestra senza che vi fosse nulla che ancora non conoscesse, sperando che un gatto facesse mostra di sè magari rincorrendo uno dei topi che si diceva abitassero i piani inferiori.

Fissando il cortile immaginò che vi si tenesse una festa alla quale partecipavano tutti gli ospiti del ricovero. Gli pareva di sentire la musica che un'orchestrina suonava proprio per loro. Si era immedesimata così tanto in quella fantasia che gli pareva di passeggiare egli stesso in mezzo ai suoi compagni, ma ad un tratto si spaventò rendendosi conto che quelle persone erano giovani, erano l'immagine giovanile creata dalla sua mente degli ospiti del ricovero. Poi assecondò il gioco involontario della sua mente invitando a ballare una bellissima silfide che gli sembrava essere la persona ringiovanita della signora Valero. Pensò che pur non essendosi ancora addormentato aveva già cominciato a sognare.

Immaginò d corteggiare la signora Valero e di stringerla a sè mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Di quel sogno ad occhi aperti non tutto dipendeva dalla sua volontà. Per alcuni istanti si domandò penchè mai la signora Valero stesse piangendo. Ma le parole avrebbero rotto l'incantesimo, nessuno doveva parlare.

Il passo nervoso dell'infermiera riportò Gesù alla sua realtà, alla sua passeggiata lungo quel corridoio deserto le cui pareti malandate si confondevano con il pavimento.

Chiunque, entrando in quel corridoio, avrebbe capito subito che si trovava in un ospedale o in un ricovero per anziani. Qualcuno avrebbe considerato più decorose le pareti di un canopo.

L'orologio appeso sopra la porta dello stanzino delle infermiere segnava sempre la stessa ora. Molti ospiti avevano chiesto ai respondabili del ricovero di farlo riparare.

A Gesù invece piaceva così com'era; lo considerava un ingranaggio che si era ribellato ai suoi superiori. Lo scorrere del tempo aveva perso ogni significato, o forse non ne aveva mai posseduto uno. Quell'orologio nella sua fantasia rappresentava un boia che per il momento se ne stava buono. Per il modo in cui le lancette si erano fermate gli ricordava anche la smorfia della Giovanna, la donna che ogni giorno andava a ripulire gli incontinenti.

Passo dopo passo la realtà delle sue giornate svanì completamente al punto che le fioche immagini del luogo in cui si trovava non erano più in grado di ricondurlo al suo letto.

Immerso nei suoi sogni ad occhi aperti un'infermiera della quale non riconosceva i lineamenti lo trascinò verso la sua stanza.

Gesù poteva considerarsi fortunato a proposito della sua sistemazione nel ricovero: la sua era una stanza luminosa e doveva dividerla soltanto con altre due persone, due signori molto riservati che non abbandonavano più da tempo il loro letto.

Le pareti della stanza erano ancora quasi bianche e nessuno aveva osato appendervi quei lavori a mezzo punto che qualche ospite indomito produceva senza posa riuscendo poi a convincere qualcuno ad apprezzarli. Quadretti che peraltro erano molto belli, ma il suo spirito virile lo costringeva a considerarli roba da femminucce. Un vero artista, secondo lui, dipingeva a olio, non con i fili di cotone colorato.

Era già nel suo letto quando sognò di camminare ancora lungo il corridoio. Notò che il suo volto era più immusonito del solito, senza motivo.

Forse era arrabbiato perchè non riusciva a scegliere fra tutte quelle porte che si trovava di fronte quella che chiudeva la sua stanza. Le porte d'altra parte non si trovavano sul lato giusto del corridoio. Questo fatto era di certo un tranello ordito dalla direzione cono lo scopo di liberarsi di lui perchè non voleva inghiottire le pasticche rosse. Fincè le porte rimanevano in quella posizione impossibile non sarebbe riuscito a trovare quella giusta. Gli sarebbe bastato un pizzico di fortuna... Scelse una finestra a caso, la meno probabile perchè era convinto di essere vittima di una burla, precipitò nel vuoto e si ritrovò in un altro sogno.

Un usignolo camminava canticchiando sul suo corpo disteso in un prato.

Poteva osservare la scena da un altro punto di vista. Il suo volto scuriva rapidamente sotto il sole cocente dell'estate. I vestiti si accartocciavano come foglie rinsecchite e il vento li disperdeva tutt'intorno. La stessa sorte toccava alle sue membra fino a che in quel prato deserto rimase soltanto l'usignolo.

Si ridestò disturbato da una mosca noiosa e gliene fu grato, quei sogni non gli piacevano. Si alzò, doveva andare in bagno. Il bagno era in fondo al corridoio. Quando uscì dal bagno ebbe una sensazione di confusione molto forte: le gambe lo sostenevano a fatica e i suoi polmoni sembravano rifiutare di accogliere l'aria che si affannava a inspirare.

Era caduto per l'ennesima volta in quel circolo vizioso che si sviluppava tra la sua vita quotidiana e i suoi sogni. Non poteva più muovere un solo passo verso la sua stanza terrorizzato dell'idea di non riuscire a distinguerla dalle altre.

Sarebbe stato in grado di attraversare tutta la città e di ritornare esattamente al punto dal quale era partito, ma quel corridoio era privo di caratteristiche che potessero in qualche modo aiutarlo a scegliere.

Luigi stava domandando a un passante quale fosse il suo profumo preferito quando gli parve di intravvedere il volto di Caterina. Ringraziò frettolosamente l'intervistato e rincorse la ragazza proponendosi di sottoporle le domande del questionario. In quel modo avrebbe vinto la timidezza e sarebbe riuscito a mantenere vivo quello strano rapporto di amicizia che era nato tra di loro.

La ragazza accettò volentieri di rispondere alle domande e le risposte erano addirittura sovrabbondanti considerato l'argomento piuttosto insignificante dell'intervista. Purtroppo quella ragazza non era Caterina.

Si era di nuovo illuso di riuscire a comunicare con qualcuno ed era stato punito proprio come gli accadeva di solito, con un aggravarsi del suo senso di isolamento, di impotenza. Per quale motivo perdeva sempre le occasioni migliori? Forse per soffrire di più ricordandole: era un modo per giustificare il suo bisogno di autocommiserazione.

Caterina era stata molto disponibile nei suoi confronti, ma lui se ne rendeva conto soltanto adesso, in ritardo.

Decise che era tutto ridicolo, che i suoi pensieri erano ridicoli.

In pochi minuti, in una specie di corsa contro il tempo, si recò al palazzo dove viveva Caterina. Era deciso a tutto. Si sentiva in grado di suonare il campanello, ma non fu necessario. Qualcuno stava chiamandolo da una finestra.

La casa di Caterina era più bella di quanto potesse immaginare, ma non ebbe il tempo di rendersene conto. D'altra parte non era venuto fin lì per giudicare l'arredamento della casa di Caterina. Dalla sua gola non uscivano che pochi, goffi suoni.

Caterina lo trascinò in cucina pregandolo di parlare piano. In poche frasi gli spiegò in quale situazione imbarazzante si trovasse e gli domandò un consiglio. Era da qualche tempo che le accadeva di fare degli strani sogni e degli strani incontri, disse, e si sentiva molto confusa. Però c'era un problema pratico da risolvere e non era una cosa da niente decidere in così pochi istanti quale fosse la cosa migliore da farsi.

Miky da parte sua risolse tutto andandosene quatta quatta dopo il suo riposino senza che nessuno si rendesse conto del rumore che il suo modo di camminare e di chiudere le porte produsse.

Rimase un problema immaginario da risolvere e sia Luigi che Caterina si avventurarono nelle ipotesi più ardite, nelle dichiarazioni più appassionate di solidarietà, nei desideri più lodevoli di amicizia e conforto... ma Miky se ne era già andata. Per lei erano più accoglienti i luoghi ai quali era abituata, meno puliti e ordinati.

Quando si resero conto di essere rimasti a lungo a parlare sottovoce di una ragazzina che non c'era più e che non si era preoccupata di salutare pensarono di avere sognato entrambi e Caterina diede alcuni segni di collera isterica, di quella rabbia che ci coglie quando ci troviamo di fronte a qualcosa di inspiegabile o che ci sfugge senza motivo.

Per verificare se fosse sveglia o se stesse sognando prese a dare dei forti pizzicotti a Luigi, il quale rimase attonito fino a quando con una sincronia perfetta scoppiarono in una fragorosa risata pensando a tutte le congetture che avevano formulato sottovoce per non svegliare una ragazzina dallo spirito indipendente.

In uno slancio di coraggiosa improntitudine Luigi invitò Caterina a fare quattro passi in città. Le avrebbe parlato del suo nuovo lavoro, così avrebbero dimenticato di essere stati tratti in inganno da un ipotetico bisogno d'affetto...

Erano riusciti a sfuggire a una storia che sarebbe risultata troppo commuovente. La situazione rappresentava esattamente la noia di certe esperienze cinematografiche strappalacrime e anche se in fondo si trattava di cose che nella realtà accadevano veramente nessuno desiderava raccontarle a se stesso.

Forse preferivano immaginare una nuova storia d'amore nel senso di una storia diversa da quelle che ormai si conoscevano fin troppo bene, al punto che si poteva prevederne lo svolgimento anche senza averle mai vissute.

L'impossibilità o almeno la difficoltà di creare qualcosa di nuovo non giocavano a loro favore, per cui non riuscirono a fare altro che trascinarsi nel loro atteggiamento affettato da un angolo all'altro della città.

Anche se camminavano mano nella mano da alcuni minuti non si sentivano così felici come avrebbero immaginato.

Luigi decise di essere felice della circostanza, ma Caterina non ne era del tutto soddisfatta. Le scarpe del suo compagno non comunicavano positivamente con le sue o forse era qualcosa di più profondo, ammesse che esistesse qualcosa di più profondo, che non riusciva ad armonizzarsi con le sue sensazioni. Forse era il caso di riprendere a scrivere il suo romanzo per sviscerare le sue impressioni, descriverle appassionatamente per conoscerle meglie o forse per inventarle.

Il calore che le comunicava la mano di Luigi le sembrava tuttavia bello, era un fatto nuovo, un esperimento del destino. Era come se la città improvvisamente fosse diventata ancora più frenetica, così frenetica che ad un tratto tutto le si confuse davanti agli occhi che percepivano soltanto il bagliore biancastro diffuso dall'illuminazione artificiale delle vetrine dei negozi. Camminava in quel bagliore senza desiderare altro.

Non sapeva dove stava andando, eppure camminava. Sapeva di tenere per mano un ragazzo, ma non lo guardava. Si sentiva quasi perfettamente banale. Non riusciva a parlare. Erano accadute troppe cose che non rientravano nello schema consueto delle sue giornate. Dove aveva smarrito la sua favella?

Luigi era allegro. Scherzava, rideva, sorrideva, ma Caterina non reagiva, era come pietrificata, era convinta del fatto che tutti la stessero osservando e l'ultima cosa che desiderava era di essere considerata ridicola.

In mezzo a quel via vai di persone sconosciute era insensato pensare di essere giudicati per il solo motivo di non avere una coscienza di sè esattamente identica a quella del giorno prima. I passanti non potevano scoprire nei suoi occhi quel suo senso di smarrimento, di indecisione...

Il suo accompagnatore stava parlandole di tutto quello che gli era accaduto negli ultimi giorni. Lei rispondeva alle sue domande con un gesto timido del capo come se temesse di rompere l'incantesimo proferendo anche una sola parola. Se fossero ritornati il giorno dopo a passeggiare in quello stesso posto avrebbe provato le medesime sensazioni? La realtà le sarebbe apparsa altrettando diafana o tutto sarebbe ritornato come prima colorato di violenza, di meschinità, di assurdità... Non vedere poteva essere un modo per soffrire di meno. Doveva ricordarsi di scriverle quelle sensazioni, almeno avrebbe avuto la possibilità di descrivere un'emozione che non aveva ancora provato.

Potevano essere trascorsi solo pochi minuti, oppure degli anni. Caterina stava scrivendo alcune parole sul suo quaderno quando ricordò di avere intravisto passeggiando con Luigi uno strano signore, piuttosto anziano, che mentre camminava ripeteva continuamente il segno della croce.

Ricordando quell'apparizione un po' misteriosa alla quale poco tempo prima non aveva dato alcuna importanza dimenticò quasi tutte le sensazioni che si era ripromessa di tradurre in parole scritte su di un foglio del suo quaderno.

Cominciò a chiedersi chi fosse quell'individuo e quale strana forza potesse costringerlo a compiere un gesto che a lungo andare doveva risultare faticoso.

Non era sicura di averlo visto. Pensò di averlo sognato. Il mondo non era che un insieme di sensazioni e le persone erano le vittime inconsce delle loro stesse emozioni.

Esistere significava essere in grado di produrre delle sensazioni, delle emozioni e di ricordarle.

Lo scrittore era un individuo goloso di emozioni che temendo di dimenticare affidava le sue esperienze alla parola scritta, estensione della sua memoria e indispensabile supporto per comunicarle.

Caterina aveva scritto alcune parole sul suo quaderno e stava contemplandole soddisfatta quando si addormentò e sognando citò se stessa mentre spiegava a fatica le sue idee a un pubblico di bambini interessati a sapere tutto sulle sensazioni, sulle emozioni e sulla golosità dello scrittore. Un bambino improvvisamente la prese per mano e Caterina lo chiamò Luigi mentre si incamminava con lui verso un mare di sensazioni.

Come tutti i sogni anche questo si rivelò troppo confuso per essere dichiarato apertamente gradevole o fastidioso. Ritornando alla realtà ricordò che l'ora di cena era trascorsa senza che il suo stomaco reclamasse il cibo di cui aveva bisogno. Quale poteva essere la causa della sua inappetenza? Pensando alle cose che aveva letto sull'anoressia concluse che l'origine della mancanza di appetito doveva dipendere da una causa di natura nervosa. Si complimentò con se stessa per la sua perspicacia e colta da un nuovo colpo di sonno ripiombò in un labirinto di immagini caleidoscopiche.

I nervierano tutti al loro posto, sentenziava un falso medico che agitava una bacchetta di legno indicando una fotografia indecifrabile appesa nel punto centrale di un'enorme parete bianca.

Un'orchestra improvvisamente riempiva lo spazio biancastro definito dalla parete e il falso medico la dirigeva con la sua bacchetta di legno. Ad un certo punto tutti smisero di suonare e uno dei violinisti si alzò in piedi , si inchnò a un ipotetico pubblico e dopo di aver inspirato quanta più aria gli era possibile trattenere nei polmoni urlò a squarciagola:"Mammaaaaa!!!"

Era un incubo. Caterina si svegliò e si guardò intorno come per volersi assicurare di essere ritornata alla realtà.

Luigi stava passeggiando distrattamente. Il suo nuovo lavoro non gli piaceva, non riusciva a considerarlo un lavoro serio. Inoltre era un lavoro poco adatto alla sua personalità introversa.

Chiedere a una persona di rispondere a delle domande piuttosto noiose gli sembrava semplicemente un modo per assillare ulteriormente con degli scopi pubblicitari persone che già ricevevano troppi messaggi pubblicitari.

Avrebbe preferito un lavoro più produttivo. Qualche volta accadeva che l'intervistato rispondesse seriamente alle domande del questionario, allora provava un profondo senso di sconforto e di pietà nei confronti del suo interlocutore il quale lasciava che le domande invadessero il suo cervello con la loro stupidità. Senza l'aiuto del questionario non sarebbe stato in grado di formulare una sola delle domande che vi erano elencate.

Eppure era da alcuni giorni che girovagava alla disperata ricerca del tipo di persona che gli era stato indicato.

Il suo cervello si rifiutava di prendere in considerazione quelle domande.

Il campione che gli era stato indicato era rappresentato dalle persone di sesso femminile di età compresa tra i venti e i trentacinque anni. Persino il loro aspetto assumeva una notevole importanza. Doveva trattarsi esclusivamente di donne di bella presenza abbigliate "alla moda".

-Qual'è la sua saponetta preferita?

Le domande erano studiate in modo da non creare eccessive difficoltà per l'intervistato. Gli esperti di ricerche di mercato avrebbero tratto dalle risposte quelle conclusioni che aiutavano i capi dell'industria a decidere.

Questa era la fantasia del cosidetto mondo occidentale, non ci si posteva lamentare, ogni cosa corrispondeva alla logica del mercato.

Ingenuamente Luigi si domandava se non esistesse la possibilità di vivere secondo uno schema che evitasse i difetti sia del mondo orientale, sia quelli delmondo occidentale. Ma era difficile immaginare qualcosa di nuovo

in una società che legittimava se stessa sottolineando a gran voce le sventure dei suoi vicini meno fortunati.

I mezzi di comunicazione di massa non definivano forse già quella società virtuale che qualche buontempone credeva di preconizzare?

Quando l'intervistato si dimostrava particolarmente disponibile si permetteva di formulare delle domande che non appartenevano al questionario.

-Legge fotoromanzi?

-Quale tra i fotoromanzi in commercio le sembra il più poetico, il più romantico?

-Le piace la musica classica?

-Assume droghe leggere? Se sì quale è la sua preferita?

Pasticciando in questo modo con le domande il lavoro che stava svolgendo non poteva risultare reddditizio.

Luigi riferì ai suoi genitori la sua volontà di lasciare quel lavoro , ma non ottenne in risposta altro che dei dinieghi assai vagamente motivati. La filosofia corrente dell'ambiente familiare era remissiva al punto che anche se quel lavoro non produceva un reddito che potesse definirsi tale, bisognava considerarlo un buon lavoro perchè bisognava sapersi accontentare.

Luigi aveva preso l'abitudine di appoggiarsi alle vetrine con la sua spalla destra fissando il flusso di persone che scorrevano di fronte ai suoi occhi. Gli sembrava di trovarsi di fronte a un fiume di colori e di rumori che scivolavano del tutto casualmente sul selciato.

Un giorno mentre se ne stava appoggiato alla vetrina di un negozio di calzature gli accadde di trasalire riconoscendo Caterina, la quale si trovava assorta nella contemplazione di un paio di scarpe rosse.

Quelle scarpe a Luigi non piacevano, gli sembravano di pessimo gusto e gli dispiacque che a Caterina piacessero tanto, ma non sapendo inventare nulla di meglio da dire manifestò nei confronti di quelle scarpe un apprezzamento lusinghiero, naturalmente vergognandosene.

Caterina riconobbe subito le scarpe di Luigi. Notò che erano impolverate, segno di scarsa cura della propria immagine o risultato di una lunga passeggiata. Quale delle due ipotesi era la più probabile? Mentre Luigi la guardava in viso sorridendole, lei non poteva fare a meno di tentare di risolvere il suo dilemma prima di compiere un gesto qualsiasi. Così trascorsero alcuni istanti di esitazione che soltanto un passante distratto avrebbe potuto attribuire all'emozione di un primo appuntamento. La realtà era molto più prosaica di come la si poteva immaginare.

Caterina decise che si trattava senz'altro di trasandatezza, però stupendo se stessa si rese conto di non riuscire a biasimare Luigi per il modo in cui trascurava le scarpe che indossava.

Intanto Luigi continuava a sorridere. Era probabile che la polvere giovasse all'aspetto di quel tipo di calzatura.

Improvvisamente Caterina ruppe il silenzio esclamendo ad alta voce:

-Luigi! Quasi non ti riconoscevo!

Altrettanto improvvisamente Luigi si sentì il protagonista di quel dramma in quattro parole che era fuoriuscito dalla bocca della sua amica, ma non ne resse l'emozione e cadde a terra privo di sensi.

Gesù osservò che le patate bollite che stava mangiando erano più buone del solito. La novità era degna di nota. Accadeva raramente che il cibo servito nel ricovero evocasse delle sensazioni piacevoli, nonostante fosse sempre di buona qualità. La signora Valero confermò che le patate erano più buone del previsto e si augurò di poterne mangiare di altrettanto buone il giorno seguente.

Purtroppo il giorno seguente a quello in cui venivano servite le patate bollite di solito i responsabili della cucina del ricovero proponevano le carote bollite.

Le carote alla signora Valero e a Gesù non piacevano.

Così potevano sperare di gustare quel piatto che stava soddisfacendo pienamente il loro palato soltanto a distanza di un certo numero di pasti. La scarsa attenzione alla cucina del ricovero manifestata dagli altri ospiti

non faceva ben sperare nella possibilità di richiedere collettivamente la ripetizione di quel piatto per il giorno successivo. Si poteva tutt'al più tentare di ottenerne ancora una porzione se per caso ci fossero stati degli avanzi. Purtroppo l'amministrazione della casa di riposo era molto attenta a evitare gli sprechi, quindi si poteva ben più ragionevolmente sperare di ottenere la porzione di qualcuno che quel giorno si fosse sentito poco bene e avesse rinunciato al suo pasto.

Era comunque troppo difficile riuscire a comunicare con il personale che non appena era stato servito un piatto si ritirava in cucina lasciando spazio agli assistenti personali degli ospiti.

Senza nessun motivo per farlo Gesù pensò riferendosi alla signora Valero, che con una donna così doveva essere impossibile creare una buona relazione. La donna che in quel momento gli sedeva di fronte era l'immagine della dolcezza, della pazienza e del rispetto, ma contemporaneamente esprimeva un carattere cocciuto e forse anche presuntuoso.

Pensò che se la signora Valero fosse stata meno indecisa avrebbero senz'altro potuto ottenere un'ulteriore porzione di patate. Non era forse proprio lei l'unica persona lì ricoverata che riuscisse a farsi rispettare dal personale? Sarebbe stato sufficiente un piccolo gesto per soddisfare ogni suo desiderio e il desiderio del suo compagno di tavolo.

Ma la signora non riteneva opportuno sfruttare la sua posizione per ottenere il benchè minimo privilegio.

Era proprio quel principio a creare nella mente di Gesù l'immagine di una persona presuntuosa che si considera superiore ai piccoli difetti della gente comune.

Quant'erano buone quelle patate bollite! Non poteva dimenticarne il sapore. La loro bontà rappresentava un vero e proprio avvenimento che si inseriva come una piacevole novità nella vita rigorosamente noiosa della casa. Il televisore continuava a diffondere le notizie più catastrofiche senza che nessuno vi prestasse attenzione.

In Jugoslavia la tensione cresceva e già si parlava di guerra civile. I telecronisti definivano la situazione una "tragedia alle porte di casa". Tuttavia era assai probabile che l'attenzione dei presenti fosse rivolta soprattutto agli intermezzi pubblicitari.

Dopo centinaia di anni di conflitti , di tragedie, il genere umano si trovava ancora al punto di partenza. Se il progresso tecnologico era ormai a disposizione della maggioranza degli individui, quello culturale continuava a essere un privilegio di pochi. Le strutture sociali trainanti nei settori dell'economia e della tecnologia continauavano a essere primitive o a essere progredite soltanto nel loro aspetto teorico.

La società era un insieme di compartimenti stagni, di piccoli ambienti molto simili tra di loro nella caratteristica di rappresentare dei sistemi pronti a comunicare rapidamente tra di loro soltanto se incentivati dalla eventualità di relazioni economicamente proficue.

La casa di riposo "La serenità" era uno di questi piccoli ambienti.

Sicuramente con un pò di buona volontà si sarebbero potuti evidenziare anche quei miseri aspetti positivi che quasi sempre completano il quadro delle tragedie meglio riuscite.

Luigi decise che quel lavoro non faceva per lui. Si recò dal suo datore di lavoro per dirgli che non intendeva continuare a porre delle domande insignificanti a persone sconosciute, considerate soltanto nel loro ruolo di consumatori.

Il titolare della ditta non sollevò nessuna obiezione, lo ringraziò, ma non ritenne opportuno retribuire in alcun modo il lavoro svolto adducendo come motivo il fatto che Luigi non aveva nemmeno avuto il tempo di impratichirsi nel compito che gli era stato assegnato.

Contento di essersi tolto un peso dalla coscienza, un pò meno del trattamento economico riservatogli, si sentì finalmente libero di passeggiare senza essere costretto a vedere in ogni passante una persona da sottoporre alle domande del questionario. Immaginò di preparare un questionario di suo gusto e di utilizzarlo per srutare nella mente e nelle abitudini di tutte quelle persone che altrimenti non avrebbe mai conosciuto.

Caterina lo aveva accompagnato fino all'agenzia pubblicitaria, poi lo aveva lasciato solo con i suoi pensieri più che mai confusi.

Non era facile in quelle circostanze sentirsi in armonia con il mondo, con la società, con lo stato.

Gli uomini bene integrati nel sistema sociale non sembravano altro che un allegro gruppo di approfittatori i quali dispensavano ai meno abbienti le briciole del loro capitale soltanto se la loro elemosina poteva in qualche modo produrre ulteriori profitti.

Il prezzo per ottenere almeno le briciole era la schiavitù.

Luigi non riusciva a sopportare l'ipocrisia di un mondo costruito sul paradosso, dove ogni cosa perseguiva più di uno scopo e gli scopi raggiunti si trovavano spesso in aperta contraddizione.

Era un mondo imprevedibile dove pensando di agire bene accadeva di realizzare il male, dove ogni cosa sembrava nello stesso tempo predeterminata e casuale. Scegliere diventava impossibile. Non era ragionevole pensare di essere in grado di prevedere le conseguenze di una determinata scelta.

Bisognava lasciarsi trascinare dagli eventi.

Luigi decise di non pensare più a queste cose. Ripassare quotidianamente il suo pessimismo cominciava ad annoiarlo; intanto tutto intorno a lui dimostrava una totale insensibilità nei confronti dei suoi pensieri.

Una donna, un gruppo di amici al bar, uno spettacolo pirotecnico potevano riempire un'esistenza.

Invece di filosofare in modo inconcludente avrebbe preferito doversi occupare della scelta di una nuova automobile o di un'autoradio. La vita quotidiana di un individuo ben integrato nella sua società non poteva essere insensibile all'andamento del mercato automobilistico.

Intorno a lui centinaia di motori innervositi dalla costrizione degli ingorghi riempivano l'aria di fumi e di rumori quanto mai sgradevoli, ma supinamente accettati.

Centinaia di carri armati di megawatt musicali si muovevano con il loro contenuto di mercenari fedeli al loro vaghi ideali di progresso costruiti sulle etichette e sulle immagini pubblicitarie dei beni di consumo di massa.

Quello che vedeva non rappresentava forse il suo avvenire? Quella non poteva essere una vita autentica. Era una vita riciclata o di seconda mano. Mentre della sua mente scorrevano questi pensieri davanti ai suoi occhi scivolavano una dopo l'altra le immagini più rappresentative del pluralismo democratico della vita moderna.

Al di fuori di ogni eccesso moralistico o falsamente autoironico o incomprensibile come una frase dal significato incerto, in una stessa via convivevano persone appartenenti ai ceti più disparati.

In quale senso l'espressione di tante assurdità poteva essere ricondotta a una specie animale che pretendeva di dare un significato all'intelligenza.

Gesù passeggiava senza dimenticarsi di eseguire il suo gesto più spontaneo di fronte all'umanità.

"Speriamo in bene", fu l'ultimo pensiero che Luigi espresse prima di perdere ancora una volta i sensi.

Quando riprese i sensi si ritrovò in uno strano mondo. Ogni cosa accadeva indipendentemente dalla sua volontà. Gli infermieri di tanto in tanto si muovevano intorno a lui compiendo dei gesti difficilmente interpretabili. Qualcuno gli sorrideva come per rassicurarlo. Perchè nessuno lo informava di che cosa gli era accaduto? Tentò di muoversi, ma non ci riuscì. Si rese conto di essere ridotto all'impotenza.

Per alcuni istanti la sua mente si impegnò a formulare diverse ipotesi per interpretare la situazione che lo coinvolgeva.

Resosi conto di non poter spiegare da solo quanto gli stava accadendo decise di non pensarci più, di dormire.

Il sonno purtroppo non veniva. Poteva soltanto fissare il soffitto biancastro di quella stanza e continuare ad arrovellarsi di domande alle quali disperava di rispondere. Doveva assolutamente trovare un modo per distrarsi. Ogni sforzo era inutile. La sua mente tentava disperatamente di formulare delle ipotesi.

Ipotizzare senza disporre di dati che in qualche modo potessero definire la situazione risultava eccessivamente doloroso, conduceva a risultati allucinati. Il soffitto della stanza fungeva da schermo sul quale la sua mente proiettava le immagini che concepiva.

-Erano in tanti e non erano bene intenzionati. Era un eserciro e stava marciando verso una destinazione ignota.

La luna illuminava la scena con la sua luce fioca. Probabilmente si trattava di un vecchio film. I soldati svanirono. Rimasero le loro armi, sparpagliate nella sabbia. Un addetto alle pulizie raccoglieva le armi, ma la scena non era credibile, doveva trattarsi di delirio. L'addetto alle pulizie stava cantando in una lingua incomprensibile. Un'esplosione sconvolse la scena. L'addetto alle pulizie non c'era più. Era rimasto un carrro armato che sparava all'impazzata.

Forse, in un angolo, una ragazza stava raccogliendo dei fiori. I fiori erano ricoperti di cenere, la ragazza la soffiava via, la cenere oscurava il sole e la scena svaniva per un attimo. Poi la ragazza cominciava a ballare senza motivo e senza musica. Ballava come ballano i burattini, anzi, era un burattinaio. Il burattinaio era molto bravo: riusciva a rendere i movimenti della sua creatura così simili a quelli di una ragazza vera che pochi se ne sarebbero accorti.

Il carro armato riprese a sparare e con uno dei suoi proiettili mandò in frantumi il burattino.

Che bisogno c'era di distruggere anche i burattini? Non era rimasto nulla. Una sensazione di tristezza dipingeva la scena di un colore rosso cupo.

Il soffitto era lo schermo ideale. Non si poteva desiderare uno spazio più adatto allo scopo. Il volto di Caterina vi apparve con le dimensioni esagerate al punto di riempirlo per intero e Luigi provò una sensazione di calore sulla sua fronte come se avesse ricevuto un bacio. Le labbra di Caterina si muovevano e accennavano a un sorriso rassicurante, ma Luigi non riusciva a capire che cosa gli stesse dicendo. Avrebbe voluto afferrare con le sue mani quel volto per capire se si trattava soltanto di un'immagine o se si trattava proprio della su amica, della sua unica amica, ma non riusciva a muoversi.

Caterina continuava a parlargli sorridendo. Luigi provava delle sensazioni piacevoli sulla fronte e sugli orecchi. Immaginò che Caterina lo stesse accarezzando.

-Mi dispiace...- gli sembrava di sentire delle parole confortanti. -Passerà presto... devi resistere...-

Improvvisamente un gigantesco squarcio si dipinse sul soffitto della stanza e Luigi si sentì catapultare verso l'alto a grande velocità. Dall'alto, attraverso lo squarcio, poteva vedere tutto quello che in realtà stava accadendo intorno a lui.

Il letto era vuoto. Una ragazza sembrava tenerlo per mano. Nel letto accanto c'era un signore piuttosto anziano che in quel momento stava parlando con un'infermiera.

Era un sogno? Decise di chiudere gli occhi per un attimo. Quando li riaprì si trovava di nuovo nel letto e intorno a lui non c'era nessuno... o forse non riusciva a vederlo. Dov'era quella ragazza che poco prima si trovava accanto al suo letto? Pensò di essere impazzito. Pensò di essere vittima di qualche sostanza allucinogena... Una ragazza stava raccogliendo dei fiori, dei fiori ricoperti di cenere. La ragazza ripuliva i fiori con le sue lacrime. Erano dei fiori molto belli. Luigi si domandò se non fosse banale pensare che i fiori erano belli. Concluse constatando che se tutti avessero pensato ogni giorno alla bellezza dei fiori non ci sarebbe stato bisogno di armi, di meschinità, di sfruttamento.

Pensare alla bellezza dei fiori non poteva essere banale.

La ragazza raccolse un mazzo di fiori di ogni colore, poi per la contentezza cominciò a ballare un valzer e i fiori rappresentavano il suo cavaliere. Era felice, troppo felice. Il suo ballo divenne frenetico, quasi isterico.

Un sentimento di rabbia a poco a poco si impadroniva di lei, finchè si liberò del mazzo di fiori gettandolo via con tutta la sua forza. Il mazzo di fiori stava precipitando a grande velocità verso Luigi. Poteva seguire il volo dei fiori da vicino e nello stesso tempo poteva vederli da lontano mentre avvicinandosi a lui diventavano sempre più grandi, finchè tutto fu riempito dai loro colori.

Per un attimo ebbe paura di quei fiori, poi provò una sorta di piacere per la sensazione di freschezza che gli comunicavano.

Socchiuse gli occhi. Si addormentò. La ragazza era di nuovo al suo posto e ballava con il suo mazzo di fiori.

Il mazzo di fiori si trasformò in un'altra ragazza. Entrambe smisero di ballare e rivolgendosi a Luigi lo invitavano a seguirle.

Luigi vide se stesso ballare insieme alle due ragazze e pochi istanti appresso si rese conto della presenza di un altro cavaliere che gli somigliava al punto di procurargli una sensazione di sgomento. Come era possibile?

Che si trattasse di un sogno? Si svegliò. L'indifferenza con la quale la sua mente confondeva la realtà con il sogno lo fece inorridire rendendosi conto dell'impossibilità di reagire, di muoversi, di sottrarsi alla visione di quell'orribile soffitto.

Non aveva mai provato una sensazione di impotenza così forte. Gli sembrava di impazzire, o forse le sue visioni erano già manifestazioni di follia. Come poteva controllare un cervello pasticcione? Pensò che in quelle circostanze la cosa più importante era non perdere il senso della realtà.

Ma che cosa era il "senso della realtà"? In fondo la stessa esperienza che stava coinvolgendolo era reale.

Decise che si trattava soltanto di un rebus e che in quel momento la realtà non gli era comunque di nessun aiuto. Avrebbe voluto ascoltare della musica. Sentiva soltanto un brusio sordo che pareva il risultato di mille voci che originavano da sorgenti sconosciute, invisibili.

Provò a concentrarsi per riconoscere qualche parola. Riconobbe a stento qualche sillaba, poi fu distratto da una nuova visione. Un militare, un ufficiale, ordinava a un plotone di soldati di aprire il fuoco contro un'orchestra che suonava un valzer triste. I soldati non volevano sparare. L'ufficiale andò su tutte le furie. I soldati cominciarono a ballare il valzer. Luigi notò che in tutte le sue visioni prima o poi c'era qualcuno che ballava.

Improvvisamente l'orchestra si trasformava in un plotone di esecuzione i cui soldati, imbracciati i fucili, sparavano ai soldati che stavano ballando. Luigi inorridì e a gran voce urlò:"Fuggite! E' una trappola! Siete stati ingannati!" Caterina, che in quel momento si trovava lì accanto, non prestò troppa attenzione alle parole che Luigi aveva pronunciato, tuttavia ne fu felice, lo considerò un segnale positivo.

La signora Valero stava scarabocchiando delle parole insignificanti per ingannare il tempo. Ad un tratto trasalì sorprendendosi nel'atto di contemplare una delle parole che aveva scritto senza comprenderne il significato.

Ebbe la sensazione di assumere una posizione eccessivamente distaccata dal significato comune delle cose.

Ne ebbe paura. La sua ossessione principale era la possibilità di allontanarsi troppo dal cosiddetto "senso comune".

A volte si consolava pensando che anche fuori del ricovero il buon senso non abbondava. Eppure le pareva incredibile che la sua mente si fosse soffermarta per un periodo di tempo così lungo sul significato della parola "scarpa". Provò spiegare a Gesù quello che le era accaduto sperando di trarne qualche impressione rassicurante.

Spiegò tutto con parole troppo vaghe per rendere comprensibile il suo problema. Avrebbe desiderato tanto trovare il coraggio di domandare al suo compagno che cosa fosse una "scarpa".

In ogni caso non avrebbe considerato attendibile la risposta di Gesù. Il sentimento di grande tristezza e confusione che stava provando la costringeva ad assumere una posizione scomoda, quasi barcollante nonostante fosse seduta.

Il suo equilibrio si spostò eccessivamente sul lato destro finchè cadde dalla sedia priva di sensi.

Si risvegliò nel suo letto. Gesù la stava osservando con un'espressione troppo preoccupata: la signora Valero domandò a Gesù se il dottore fosse già venuto.

Tutti sapevano che in quelle circostanze il dottore si affrettava a visitare il paziente e altrettanto frettolosamente se ne andava.

Gesù era afflitto da un patema che non poteva trovare conforto se non in una rapida guarigione della sua unica amica. Forse il dottore avrebbe dovuto preoccuparsi anche delle sue condizioni.

Caterina stava cercando disperatamente un modo per ricondurre all'unità la miriade di azioni inutili che non poteva fare a meno di compiere ogni giorno. Spesso le accadeva di sorprendersi intenta in occupazioni che non aveva previsto di mettere in pratica.

Per quale motivo aveva deciso di andare a passeggiare come al solito per le vie del centro città?

Forse un motivo c'era, ma non era evidente. Qualche giorno prima aeva deciso di uscire di casa per andare ad acquistare un puntaspilli, peraltro inutile, poi non era uscita preferendo la visione di un programma televisivo.

Era un programma che raffrontava le differenti metodologie nel campo della produzione di calzature. Era rimasta immobile di fronte allo schermo come per incanto; quasi non aveva osato respirare per tutta la durata della trasmissione

Pensò che nella sua vita mancava quello che nel mondo del cinema si chiamava "colpo di scena", un evento che in pochi istanti cambiasse radicalmente la sua vita. Per quanto tempo avrebbe continuato a girovagare senza un motivo preciso?

Che senso aveva pretendere un buon motivo per il suo pellegrinare da una vetrina all'altra? Quella era la realtà immutabile delle cose. Una colluvie di oggetti inutili e costosi, monumento al progresso del consumismo, al regresso dell'umanità.

A qualcuno importava qualcosa di lei? Gli oggetti che vedeva esposti spesso la attraevano per la loro bellezza, ma la respingevano con i rispettivi prezzi imposti. Era frustrante.

Nessuno la abbracciava caldamente. Nessuno la rapiva con un calesse dorato per irncorrere un sogno irrealizzabile.

Se almeno fosse riuscita a scrivere il suo romanzo! Aveva a sua disposizione una quantità di tempo che non era in grado di organizzare. La sensazione di condurre un'esistenza inconcludente stava logorando i suoi nervi. Bisognava reagire in qualche modo: negare tutto, affermare tutto! Che cosa poteva fare? Era immersa in una folla di esseri umani incoerenti che vagavano alla ricerca disperata di una ragione di vita.

Potevano forse trovarla esposta in una di quelle vetrine?

Un passante dall'aspetto malconcio le rivolse la parola:

-Trovo la vita difficile... può aiutarmi?

-Che cosa posso fare? -Gli domandò Caterina.

-Può darmi qualcosa?

Caterina ebbe un gesto di stizza, gli rispose seccamente che non poteva dargli niente e se ne andò affrettando il passo. poco dopo si pentì di quello che aveva fatto. C'era qualcuno che stava peggio di lei. Luigi stava peggio di lei, quel signore dall'apetto repellente stava peggio di lei, i venditori di cianfrusaglie stavano peggio di lei. Scoppiò in lacrime. Pianse per alcuni minuti singhiozzando sommessamente, poi sulle sue labbra ritornò il sorriso. Stava pensando di acquistare un nuovo paio di scarpe, per consolarsi. L'importante nella vita era avere un progetto da realizzare!

I battiti del suo cuore subirono un'accelerazione improvvisa. In mezzo al fiume di persone che scivolava via senza lasciare traccia di sè gli parve di intravvedere il volto di Luigi. Era trascorso molto tempo dall'ultima volta che gli aveva fatto visita all'ospedale.

Per chissà quale motivo non aveva osato ritornare all'ospedale. Forse era troppo triste vederlo disteso impotente nel letto; forse temeva di incontrare qualche parente di Luigi e di dover giustificare la sua presenza. Si diede un buffetto e un pizzicotto per essere sicura di non sognare, poi lo raggiunse.

Luigi non la riconobbe, ma non la respinse. Caterina lo prese a braccetto un pò sorpresa e confusa da quella situazione imbarazzante. Domandò a Luigi che cosa gli fosse successo durante il periodo di tempo che era trascorso dall'ultima volta che si erano incontrati. Pose la domanda senza rendersi conto del fatto che se Luigi non la riconosceva probabilmente non era nemmeno in grado di raccontarle che cosa gli era successo.

Luigi non rispose, si limitò a sorriderle. Caterina pensò che insieme, loro due, formavano una coppia piuttosto strana. Era la prima volta che le accadeva di definire la sua relazione con Luigi una relazione di coppia.

Per quale motivo proprio in quel momento desiderava l'affetto di Luigi?

Forse il sorriso di Luigi era stato più eloquente di mille parole, oppure non sopportava più la sua solitudine o la solitudine di entrambi.

Decise di invitare Luigi ad andare a casa sua per sfuggire al brusio della folla, per sorseggiare una tisana rinfrescante.

Luigi accettò. Caterina scelse la via più breve.

Aveva la sensazione di comportarsi come una ragazzina che sta per commettere un'infrazione alle regole e se ne rende conto, ma nello stesso tempo lascia che l'errore si compia perchè ne è totalmente confusa e affascinata.

Camminava con passo quasi da parata, come se desiderasse ardentemente ostentare quello che stava facendo, immaginando che qualcuno potesse rendersene conto.

Il suo passo era così deciso che la gente quasi si scansava percependo il suo arrivo qualche istante in anticipo.

Era felice. Forse sarebbe riuscita a scrivere il suo romanzo. Le sembrava che quello che stava vivendo fosse degno di essere raccontato; con qualche ritocco poteva diventare una sorta di fiaba moderna. Il personaggio buono lo aveva già trovato: era Luigi. Il cattivo era la solitudine, l'indifferenza, gli amici assenti.

Le mancava solo la trama.

Ad un tratto si fermò, si volse verso Luigi e lo baciò con una decisione tale che la si sarebbe potuta definire prepotenza, quindi riprese la sua marcia trionfale. Luigi era il suo trofeo, era il suo romanzo, era il suo premio.

Lungo il tragitto raggiunse e oltrepassò una coppia di amici, ma non ebbe voglia di fermarsi per i soliti convenevoli occasionali: manifestò una gran fretta e proseguì nella sua corsa forsennata verso l'avventura.

Era lei l'eroina delle sue stesse gesta e tutti dovevano applaudire il suo trionfo. Chissà che cosa avevano pensato i suoi amici vedendola in compagnia di un ragazzo! I tempi erano maturi per la sua vendetta.

Tutti dovevano riconoscere la sua vittoria, la sua supremazia!

Che importanza avevano i fatti di cronaca sconcertanti che accadevano immancabilmente ogni giorno di fronte alla grandezza minima dei fatti minimi che stava vivendo?

Da qualche parte aveva letto che il realismo era passato di moda; adesso si parlava soprattutto di minimalismo, che forse era una specie di realismo che riguardava i fatti che accadevano all'individuo nella sua vita quotidiana, ma che sicuramente non aveva nulla in comune con il naturalismo.

Da quando aveva deciso di scrivere un romanzo era affascinante da tutte le parole che definivano una corrente letteraria. Il suo romanzo sicuramente si sarebbe inserito in quella corrente alla moda. Temeva l'anacronismo della sua futura opera; d'altra parte oltre i piccoli fatti della sua vita quotidiana che cosa avrebbe potuto raccontare? Che cosa sapeva del mondo che la circondava? Chi avrebbe acquistato un paio di scarpe fuori moda? Pensava che la nascita di nuove correnti letterarie era positiva, altrimenti gli editori non avrebbero avuto altro da fare che pubblicare i vecchi romanzi.

Quali pensieri elevati le accadeva le accadeva di formulare durante quella corsa trionfale! Senza dubbio si trattava di un effetto positivo dovuto alla presenza di Luigi...

Bisognava festeggiare l'avvenimento! Pregò Luigi di aspettarla un paio di minuti ed entrò in un negozio.

Ne uscì con un pacchetto che conteneva una bottiglia. Prese nuovamente a braccetto Luigi e cominciò a domandarsi quali bicchieri sarebbero stati i più adatti per il brindisi.

La sua femminilità non poteva rinunciare al romanticismo della scelta del calice più bello per un evento eccezionale.

Luigi non sapeva che cosa pensare di quello che stava accadendo. Aveva sempre pensato che un certo tipo di iniziative le prendessero soltanto i ragazzi.

I suoi sentimenti nei confronti di Caterina esprimevano una simpatia e una tenerezza che lo sorprendevano quanto l'intraprendenza della sua amica. Fino a quel momento non aveva creduto nella possibilità di vivere una storia d'amore. Ogni volta che si era illuso aveva subito delle delusioni brucianti, aveva raccolto i cocci dei suoi sentimenti dal fondo di un pozzo pieno di pensieri confusi.

Memore delle precedenti esperienze decise di non dare niente per scontato, di lasciarsi trasportare dal corso degli eventi, di assecondare i desideri e le intenzioni di Caterina.

Quando cambiavano d'improvviso la direzione di marcia gli accadeva di perdere il senso della realtà.

Era ancora troppo debole: le emozioni che stava provando producevano un effetto di separazione rispetto ai dati sensoriali, non sapeva più dov'era e che cosa stava facendo.

Chi era la ragazza che lo stava accompagnando?

Finalmente giunsero alla meta, agognata più da Caterina, che stava provando l'intima gioia di ospitare qualcuno in quella sua solitaria dimora, che non da Luigi, scarsamente consapevole di quanto stava accadendo.

Per dimostrare la sua gratitudine Luigi si sforzò a lungo di dire qualcosa alla sua amica, ma le parole gli sfuggivano, o meglio gliene sfuggiva il senso. Riuscì soltanto a pronunciare due parole:"Dove siamo?".

"A casa", rispose Caterina. Luigi ebbe l'impressione di essere un personaggio sfuggito alla penna di Beckett.

Osservò che in quella casa la luminosità era abbagliante nonostante le finestre fossero di piccole dimensioni e alcune addirittura chiuse.

Dov'era la sorgente di quella strana luce? Poteva essere frutto di uno stato febbrile, di una alterazione improvvisa della percezione sensoriale... Da qualche punto dello spazio provenivano le note del tema numero sette dai dieci temi con variazioni... Conosceva bene quel brano perchè lo aveva registrato alcuni giorni prima da un programma musicale radiofonico e lo aveva riascoltato diverse volte.

Un oggetto di cristallo brillava in modo particolarmente intenso: un fascio di raggi luminosi filtrato dalla persiana ne colpiva le sfaccettature producendo un bagliore fastidioso.

Avvolto da quella musica e da quella luminosità non riusciva a distinguere i colori e le forme dei mobili della casa. Caterina stava dicendogli qualcosa, ma lui era troppo confuso per capire esattamente le parole dette.

Probabilmente gli era stato offerto un bicchiere di spumante, poichè si rese conto di tenere in mano un calice pieno di un liquido biancastro. Era astemio, ma rifiutare gli darebbe costato uno sforzo eccessivo.

Bevve, e tutto quello che già gli appariva confuso lo divenne ancora di più. La musica improvvisamente cambiò. Era un rock soffice, i toni bassi erano preponderanti, il volume era troppo alto. Caterina si era seduta molto vicino a lui, sentiva il calore del suo corpo, ma non poteva muoversi.

Caterina era sorpresa dal comportamento di Luigi. Si domandava per quale motivo non si sentisse a suo agio nonostante avesse fatto tutto il possibile per fargli capire che la sua presenza era gradita. Perchè se ne stava così fermo, immobile, come pietrificato? si trattava forse di un meccanixmo di difesa? Nel tentativo di provocare una reazione prese ad accarezzargli le guance, ma Luigi non considerava in alcun modo le attenzione che gli erano riservate.

Caterina concluse che si trattava di un caso di autosuggestione piuttosto grave. Il suo entusiasmo a poco a poco scemava trasformandosi in un vago scetticismo. Si rese conto di avere usato nei confronti di Luigi una sorta di violenza costringendolo a seguirla fino a casa sua. C'era qualcosa di insolito in quel modo di comportarsi distaccato dalla realtà. Per alcuni istanti provò addirittura un senso di profondo sgomento, come se si trovasse di fronte a un pericolo che fino a quel momento era stato sottovalutato. Le sue aspettative romantiche sembravano deluse per l'ennesima volta.

Luigi si rendeva conto del fatto che la sua immobilità in quel momento era inopportuna. La sua mente stava costruendo un'immagine della situazione che cominciava finalmente a invitarlo a compiere un qualsiasi gesto.

Un semplice gesto avrebbe potuto esprimere un sentimento e sarebbe stato più efficace di mille parole. Ma quale era il sentimento da esprimere? Non poteva essere altro che un sentimento amichevole, di gratitudine per l'attenzione ricevuta. Decise di sorridere apertamente guardando negli occhi la sua amica.

Si volse alla sua destra, ma Caterina non c'era più. Ancora una volta aveva perso il momento opportuno.

Si alzò bruscamente ritrovando la decisione dei suoi tempi migliori e cominciò a perlustrare le stanze dell'appartamento sicuro di trovarla in lacrime a causa della delusione patita.

Le porte erano tutte uguali e Luigi si scordò di bussare prima di aprire le porte.

Caterina era in bagno, in un atteggiamento imbarazzante, quando Luigi spalancò la porta recando in viso un'espressione che comunicava nello stesso tempo la gratitudine che poco tempo prima si era ripromesso di manifestare e la preoccupazione per l'inspiegabile sgarbo compiuto.

Luigi richiuse la porta con una foga tale che poco ci mancò che uscisse dai suoi stessi cardini. Umiliato per l'involontaria sfacciataggine piombò in uno stato di profonda depressione.

Come avrebbe potuto spiegare l'increscioso incidente? Qualsiasi spiegazione sarebbe risultata incredibile.

Un riso isterico gradualmente si trasformò in un pianto sommesso che allagava le sue guance di lacrime amare, disperate.

Eppure non era ancora stato rimproverato. Luigi aveva un predisposizione naturale per l'autoflagellazione.

Quelle lacrime, tuttavia, furono provvidenziali. Caterina era ormai propensa a credere che nel cervello del suo amico qualcosa non funzionasse bene ed era giunto a ipotizzare un qualche tipo di mania.

Le lacrime e il singhiozzare sommesso la convinsero della buona fede, dell'ingenuità e della confusione di Luigi.

-Certo che sei proprio un tipo imprevedibile!

Luigi singhiozzò in modo ancora più convincente e il suo viso esprimeva uno sconforto tale da convincere Caterina a invitarlo a distendersi sul suo letto. Osservò che gli inizi della sua storia d'amore erano più burrascosi di quanto avesse previsto.

Certe cose nell'alta società non si svolgevano in modo così ridicolo, ma sicuramente, pensò consolandosi, si svolgevano in un modo più ipocrita.

Si coricò accanto a Luigi e gli accarezzò il capo per tranquillizzarlo.

Un po' per distrarsi dalla noia del ricovero, un po' per mantenere in esercizio il suo corpo indolenzito Gesù stava passeggiando lungo il solito percorso, pago di osservare le piccole variazioni nell'umore e nei gesti dei passanti. Avrebbe incontrato quel giorno la signorina Ciclamino? Il telegiornale narrava di fatti sconcertanti, eppure la gente continuava a compiere instancabilmente i suoi riti quotidiani. Passando vicino a un bar sovraffollato gli venne l'idea di entrare e mescolarsi alle persone che stavano sorseggiando la loro dose di caffè, per ascoltare i loro discorsi.

Rimase a lungo di fronte all'ingresso somandandosi se entrando non si sarebbe sentito troppo a disagio.

Il locale era frequetato da persone perlopiù giovani. Era attirato dalla possibilità di trascorrere alcuni minuti in mezzo a quei ragazzini, ma temeva si essere respinto, invitato a uscire.

Con sua grande sorpresa si rese conto che nessuno si rendeva conto della sua presenza. Tentò di ordinare un caffè, ma nemmeno il barista sembrava rendersi conto della sua presenza.

Dispensato dall'obbligo di consumare qualcosa rivolse la sua attenzione ai discorsi che si svolgevano intorno a lui. Due ragazzi discutevano animatamente delle ultime gare di motocicletta su ghiaccio: un argomento originale, sempre meglio che parlare di calcio, forse un po' snob.

Una coppia di ragazze parlava troppo piano; si avvicinò a loro cercando di passare inosservato e capì che stavano borbottando contro il loro datore di lavoro, reo di avere l'alito pesante. Erano così carine che sembravano appena fuggite da uno studio pubblicitario: animali da pelliccia, pensò compiaciuto. Molte persone comparivano soltanto per un minuto, trangugiavano un tramezzino e una bibita, pagavano soddisfatte e se ne andavano. Qualche passo più in là, seduti a un tavolino, un ragazzo e una ragazza si guardavano negli occhi. Che sorpresa! Era la signorina Ciclamino! Avrebbe voluto avvicinarsi, ascoltare le sue parole, ma gli pareva scorretto origliare i discorsi di una persona conosciuta.

In ogni caso non ebbe il tempo di pensarci su, in qualche modo la gente che si accalcava al bancone riuscì ad accompagnarlo alla porta. Quando si ritrovò fuori dal locale, nonostante non fosse uscito di sua spontanea volontà, fu contento di non dover più respirare l'aria viziata di quel locale.

Osservò che quel posto era interessante, che valeva la pena di ritornarci. Per alcuni minuti rimase ancora incantato di fronte a quel bar, forse sperando che la signorina Ciclamino ne uscisse permettendogli di rivederla, poi riprese la sua strada distratto dal freddo, dimenticando quello che gli era appena successo.

Abbandonato il porticato si rese conto che stava piovendo. Affrettò il passo. Se rientrava troppo bagnato lo avrebbero trattato come un bambino irresponsabile, la signora Valero si sarebbe presa gioco di lui. Lo avrebbero accusato di essere un gigione che combina guai per mettersi in mostra.

A causa della fretta camminò per qualche centinaio di metri in una direzione sbagliata. Una statua che non doveva incontrare lungo il percorso lo riportò lungo la strada giusta.

Trasalì, pensò di essersi assormentato camminando, di essere diventato sonnambulo.

Una ragazza appoggiata al palo della fermata sell'autobus gli gridò:"Ti sei perso, nonno?"

Che quella ragazza avesse ragione? In che strada si trovava?

Ritornò verso la ragazza.

-Dove sono?

-Sei in Via della Cariatidi Semivive.- Rispose in tono canzonatorio.

Con la sua mimica Gesù esprimeva uno smarrimento tale da impietosire anche quella ragazza smaliziata.

-Scommetto che sei scappato dal ricovero! Se mi dai qualcosa ti ci riaccompagno.

Così dicendo lo prese per mano e lo trascinò verso l'ingresso del ricovero, che distava da quel punto un centinaio di metri appena.

A Gesù sembrava di aver ritrovato il paradiso.

-Io... non ho niente da darti... mi dispiace...

-Dammi un bacio, nonno! Sono il tuo angelo custode.

In portineria gli domandarono chi fosse quella ragazzina. Disse che era sua nipote, che lo aveva incontrato casualmente per la strada e che era stata davvero gentile, con tutta quella pioggia, a riaccompagnarlo.

Se avessero saputo che aveva rischiato di perdersi non lo avrebbero più lasciato uscire.

Tutti sapevano nel ricovero che Gesù non aveva nipoti, ma nessuno riteneva opportuno farglielo notare.

Dal fatto nacque un pettegolezzo che volò rapidamente di bocca in bocca e che con pari velocità fu del tutto dimenticato. Per qualche ora molti all'interno della casa di riposo furono convinti della possibilità di vivere, a una certa età, una seconda giovinezza e considerarono Gesù uno strappacuori affascinante, dotato di qualità poco evidenti.

Luigi si risvegliò tra le braccia di Caterina. Per un attimo fu sorpreso dalla circostanza al punto di provare paura. Ebbe la sensazione di risvegliarsi in un altro sogno. La stanza conteneva mobili che non conosceva e una lampada diffondeva una luce fioca. Si sforzò di ricordare per quale motivo si trovava in quella stanza. Caterina stava dormendo. Non gli era mai successo di provare delle emozioni così belle come quelle che gli comunicava il corpo di Caterina. Osservò il viso della sua amica nei minimi particolari.

Esprimeva una sorta di beatitudine, per cui dedusse che il sogno nel quale era coinvolta era piacevole.

Gli parve naturale baciare la sua fronte e accarezzare i suoi capelli. Di nuovo il tema numero sette.

Il sonno della sua compagna era profondissimo, poteva continuare a baciarla senza svegliarla. Si sentì colpevole di quello che stava facendo. Forse stava rubando qualcosa, forse Caterina stava al gioco fingendo di dormire.

Come era giunto a quella situazione? A ben pensarci i fatti, nella realtà, non si erano svolti in modo molto diverso da come si svolgono nei sogni, con la stessa vaghezza e confusione.

Ricordava soltanto alcune immagini, alcune circostanze... Ricordava di essersi lasciato trascinare da Caterina in quello che ella stessa aveva immaginato.

Che cosa sarebbe accaduto quando Caterina, svegliandosi, lo avrebbe trovato nel suo letto in quella insolita posizione. Forse avrebbe urlato a squarciagola...

Socchiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì caterina era sveglia, così sveglia che era impossibile pensare che poco prima stesse dormendo.

Lo salutò, gli domandò se aveva dormito bene, gli accarezzò i capelli, poi si alzò e uscì dalla stanza, lasciandolo solo e con gli occhi rivolti verso il soffito. Era un bel soffitto. Bianco, senza lampadari, senza macchie o irregolarità nell'intonaco.

Era proprio una bella casa, quella. Il soffitto della sua stanza era costellato di aloni e fossette che costituivano un invito a immaginare delle figure statiche o addirittura in movimento.

Invece di fronte a quel soffitto la sua mente non creava nulla, anzi, si rispecchiava e si rilasciava in una sensazione di armonia profonda.

Quando Caterina ricomparve Luigi non si rese conto del fatto che era completamente nuda, o perlomeno non se ne stupì affatto. Si coricò nuovamente accanto a lui chiedendogli di riscaldarla un po', perchè la stagione non era ancora abbastanza calda per gironzolare in casa senza vestiti.

Luigi si domandò che cosa stava succedendo. Era quello che aveva sempre desiderato, ma tutto sembrava accadere indipendentemente dalla sua volontà.

Le carezze di Caterina invitavano ad accarezzare e rasentavano l'impudicizia. I suoi vestiti cominciavano a dargli fastidio, ma non aveva il coraggio di toglierseli: Caterina risolse anche questo problema.

Quella era la situazione più naturale che l'umanità fosse ancora in grado di sperimentare, pensò, e fu l'ultimo pensiero che attraversò la sua mente. Poco tempo dopo si svegliò nuovamente e Caterina era ancora accanto a lui, ma era vestita di tutto punto... Si diede un pizzicotto, questa volta era sveglio davvero. Caterina, a sua volta, si svegliò, si alzò e uscì dalla stanza. Quando ritornò era nuda.

-Non è possibile! Disse Luigi.

-Non è possibile cosa?

-Credo di avere appena fatto l'amore con te in sogno... Tu uscivi dalla stanza, poi ritornavi svestita e ti coricavi accanto a me chiedendomi di ricaldarti... Sono sveglio o sto ancora sognando?

Caterina sorrise un po' imbarazzata e prese a dargli dei pizzicotti per convincerlo di quanto stava accadendo.

Ci fu un momento in cui il mondo intero sembrava crollargli addosso: il telefono squillava, qualcuno bussava alla porta, il soffitto diventava trasparente e migliaia di meteore incandescenti lo sfioravano producendo sibili lacinanti. Non avrebbe mai immaginato tanta passionalità in un essere così mite.

Quando caddero dal letto ricavandone alcune ammaccature scoppiarono entrambi a ridere.

Caterina quando rideva era bellissima.